Ci sono almeno tre buoni motivi per non andare a Copenaghen: odio per le biciclette; allergia alle parole organico, biodinamico e sostenibilità; consuetudine a spegnere mozziconi sull’asfalto, lasciandoveli.
Se queste limitazioni non vi toccano, potete infilarvi in un volo low cost e partecipare al Copenaghen Mad (cucina) Fest, dal 24 agosto al 1 settembre.
E’ un’ottima occasione per assaggiare le varietà di “new nordic taste” e per studiare l’enfasi, i buoni propositi, la capacità di promuoversi, le idee brillanti realizzate e spiegate con tono infervorato, il non-ancora-molto fatto fruttare come se fosse moltissimo, il senso della missione (salvare il mondo attraverso la cucina nordica) tipici dei danesi.
Se avete budget consistenti potete scoprire la Copenaghen dei ben 13 ristoranti stellati (15 stelle), ma sono in programma una miriade di esperienze più abbordabili e potrete anche incontrare tra gli stand dell’affascinante mercato di piazza Israele Lasse Andersen, il giovane missionario del porridge, proprietario di Grøed; oppure l’attivista culinario Martin Petersen, che nel suo stand offre prodotti ultraselezionati tra cui l’eccellente birra Bøgedal.
O ancora, in Jaegersborggade, Klaus Thomsen del collettivo del caffè; l’apostolo del pane e delle lievitazioni, Kristian Serup di Master Baker; Christian Puglisi di Relæ, il primo ristorante stellato Michelin ad essere “certificato organico” (qualunque cosa voglia dire).
Senza contare la possibilità di scambiare opinioni e consigli con qualche componente dell’appassionata orda (sono 700) di giornalisti, fotografi e comunicatori del cibo, rappresentati dal sito madmedier.dk.
In tre giorni di Copenaghen Mad Fest, ho constatato che la nuova cucina danese è impersonata da una task force di esegeti delle radici, dei licheni, dei tuberi, del muschio e comunque di ogni tipo di gustosa escrescenza o increscenza spontanea e non velenosa, prodotta dai boschi e dalle praterie.
Sul retro dei menu è spesso stampato il manifesto della cucina nordica, in certi casi vi si trovano anche consigli di lettura (genere Pollan, va da sé), di film (Food Inc), di blog, nonché una selezione di temi consigliati (googlare “forrest gardening”, per esempio). Si afferma che i manzi vengono trattati coi fiocchi in pascoli con vista a mare, e che i polli crescono a terra.
Le costine e le orecchie di maiale servite in croccanti barrette appartengono a suini che hanno condotto un’esistenza sana e passabilmente dignitosa, e di cui in ogni caso si conosce personalmente l’allevatore e si va a visitarlo di continuo.
Naturalmente la vostra comanda verrà presa non dopo avervi stordito con una scarica di:
“we serve food with a sense of place”,
“we are enthusiastic”,
“our food is always healty”,
“we know our farmers “,
“we choose ingredients that are clean and close to nature”,
“sustenability and animal welfare is a matter”,
condita da continui “organic” e “biodynamic”, e infine riuscirete a fare il vostro ordine e… nel 90% dei casi il cibo vi piacerà, sarà gustoso e leggero e a volte sorprendente.
Tecnica, idee, giochi di consistenze e contrasti in ogni piatto, niente pasticci, pulizia compositiva.
Evitabili gli scampi, che anche nel migliore dei casi hanno una consistenza acquosa poco interessante; e i pomodori, che di solito trovate nel piatto canditi, forse per imprimergli un po’ di sapore – ma non c’è verso.
A Copenaghen, nel giro del cibo sembra che tutti abbiano lavorato al Noma, abbiano cofondato il Noma, siano amici del Noma, si siano ispirati al Noma, e dunque andrebbe proposto al giovane sindaco di affiancare alla stucchevole statua della Sirenetta (che compie cent’anni) un virile bronzo del rifondatore di Copenaghen, il Sirenetto Rene Redzepi (proprietario e anima del Noma).
In finale di viaggio fermatevi all’aeroporto, nel pop up restaurant del cuoco-celeb Thomas Rode. Scolpito, multitatuato, con le scarpe a guanto (con le dita), è fieramente avverso ai carboidrati – che gonfiano, ingrassano, fanno dormire male.
Vi preparerà personalmente, nel mezzo dell’atmosfera da nonluogo delle solite boutique dei marchi del lusso, uno dei suoi pasti vigorosi ma leggeri, ispirati alla Stone Age Diet.
Ps. La cosa più straniante del Festival è stata la cerimonia di inaugurazione nel luccicante edificio-biblioteca Black Diamond. Dopo i brevi speach di sindaco, organizzatori, e soprattutto di Sua Sostenibilità Alex Atala (chef del ristorante Dom a San Paolo del Brasile) ai convenuti è stato offerto un ricco rinfresco placée. Acqua Panna e San Pellegrino, vini Tasca d’Almerita, gorgonzola, olive taggiasche, e addirittura il mai visto prima d’ora ketchup Mutti.
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