Camilla Baresani

Sommario

Pellegrino Artusi

- Sette - Corriere della Sera - Cibo

Cento anni dalla morte di Pellegrino Artusi. Illustre connazionale che, nel 1881 con La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene – Manuale pratico per le famiglie (comunemente detto “l’Artusi”), ha inventato la cucina nazionale italiana e scritto quello che è uno dei libri più letti nel nostro paese, assieme a I promessi sposi e Pinocchio.

Secondo il critico e gastronomo Allan Bay, “Pellegrino Artusi ha fatto una cosa inaudita per i suoi tempi. Studiare le più diverse tradizioni italiane e mescolare allegramente le ricette. Molti non hanno il coraggio e la voglia di farlo nemmeno oggi”. Prima dell’Artusi, il nostro patrimonio culinario era un assommarsi di tante cucine locali (definirle regionali sarebbe semplificazione eccessiva, data la gran quantità di variazioni campanilistiche della medesima ricetta), in cui nulla era condiviso. Neanche la lingua con cui venivano tramandate. Negli anni dell’unificazione, infatti, solo il 2,5% della popolazione parlava l’italiano standard, un toscano edulcorato calato dall’alto per imposizione burocratica: tutti gli altri si esprimevano in dialetto. Se in Francia, già nel Seicento, la cucina di corte era diventata il paradigma dei ricettari di tutto il paese, in Italia non esisteva un patrimonio di ricette condiviso, così come non esistevano un unico stato e un’unica lingua. Bisognò aspettare le ricette dell’Artusi perché gli italiani smettessero di provare curiosità anziché disprezzo per piatti improntati agli usi e alle materie prime di altre regioni. Va detto che il libro arrivò in un momento particolarmente favorevole per la sua diffusione. L’Unità d’Italia, con la nascita di una classe borghese unitaria e la ripresa economica di fine secolo, aiutarono a creare un pubblico di lettori adatto. Famosa è la considerazione dello storico e filologo Piero Camporesi: “Bisogna riconoscere che La scienza in cucina ha fatto per l’unificazione nazionale più di quanto non siano riusciti a fare i Promessi Sposi”.
Pellegrino Artusi era nato nel 1820 a Forlimpopoli, ma con la famiglia si trasferì a Firenze dopo l’incursione di un famoso brigante, conosciuto come “Il passatore”, che provocò lo choc dell’intera cittadina e l’impazzimento di una delle sue tante sorelle. In seguito, dopo gli studi, Artusi divenne commerciante come il padre, e gestì così bene gli affari che a quarantacinque anni poté smettere di lavorare per dedicarsi alle sue passioni. Letteratura e cibo. Senza né mogli né figli. Il ricettario lo pubblicò a proprie spese, come aveva fatto coi due libri precedenti, su Ugo Foscolo e su Giuseppe Giusti, entrambi di nessun successo. Le mille copie della prima edizione andarono presto esaurite, e dal 1881, anno della pubblicazione, al 1911, anno della morte dell’Artusi, il libro ebbe 15 ristampe e revisioni (con progressivo ampliamento del numero delle ricette fino a contarne 790), e arrivò a vendere ben un milione e duecentomila copie. Una cifra sbalorditiva per quei tempi di bassa scolarizzazione.
Come nacque il ricettario? Aiutato da una coppia di camerieri-cuochi (che alla sua morte ereditarono i diritti del libro), il gaudente divulgatore si mise a provare e riprovare quelle ricette che poi, diffuse tramite il libro, finirono per costituire l’ossatura della cucina condivisa nazionale. Ricette raccolte in giro per l’Italia con qualche escursione fuori dai nostri confini nazionali, in anni di viaggi gastronomici supportati da un’attenta ricerca di citazioni letterarie e di informazioni tecniche, igieniche, scientifiche. Piatti di cucina casalinga, rustica o borghese ma sempre praticabili e di facile esecuzione, tali che ancora oggi – magari evitando certi spargimenti di grasso inattuali nella nostra civiltà delle diete – possiamo comodamente replicarli. Ci sono poi altre virtù nell’Artusi. Non si tratta di un semplice ricettario, bensì di un compendio di informazioni e filastrocche e proverbi raccolti in tutta Italia. E l’impasto tosco-romagnolo di quel lessico, colloquiale e tuttavia ricco ed elegante, pieno di divagazioni e dissertazioni, è spesso saporito quanto le ricette. Di solito i libri di ricette si consultano, quello dell’Artusi si legge. Con gusto. Un gusto anzitutto letterario.
Tanto per fare un esempio, nel menu consigliato per il mese di agosto ho trovato questo divertente proverbio, che oggi per un doveroso senso di giustizia andrebbe ribaltato (marito nel cantone): “Quando sole est in leone / Pone muliem in cantone / Bibe vinum cum sifone”.
All’Artusi, parlo dell’uomo, il sano appetito e l’immane quantità di cibi assaggiati non hanno certo fatto male. Il suo stile di vita, che oggi farebbe inorridire un milanese dieto-palestrato, lo ha portato a vivere fino a novant’anni.