Simpatica. Anzi, molto simpatica. È la prima cosa che viene in mente per definire Claudia Gerini. Certo, ci sono i grandi occhi azzurri la cui luce ti attraversa da parte a parte, e l’aggraziato ovale del viso, e il corpo tonico da invidiarle, per non dire del talento artistico completo che le permette di passare dalla recitazione al canto alla danza alla conduzione alla regia. Ma quello che dapprima ti colpisce è l’autoironia, l’atteggiamento sdrammatizzante, il piglio pratico, e insomma l’assenza di quei narcisismi e svenevolezze che invece sembrano il bagaglio di tante attrici. È simpatica, e la simpatia, cioè syn pascho nell’origine greca della parola, patire insieme, provare emozioni comuni, fa sì che questa interprete di tanti film riuscitissimi, ormai considerati dei classici, piaccia molto alle donne. La sentono amica anche se non la conoscono.
Claudia, lei ha avuto una vita artistica incredibilmente ricca. Ha da poco oltrepassato i 50 anni e ha 3 film e una serie televisiva in uscita questo autunno. Allora non è più vero che le attrici hanno una carriera breve. Non ci sono più viali del tramonto?
Ormai le carriere sono longeve. Chiaramente c’è un’attenzione particolare alla nuova scoperta, alla giovane attrice, ma sia il cinema sia le serie televisive mostrano sempre più attenzione all’autenticità anziché alla superficie patinata del divismo. Virna Lisi e anche Sandra Milo hanno lavorato fino alla fine. Con Sandra, una persona davvero speciale, ho interpretato un bellissimo film di Muccino, A casa tutti bene.
Le viene mai l’ansia di non essere più chiamata?
L’ansia non fa proprio parte del mio modo di essere. Poi, per carità, a un certo punto non sarà più così, ma finora non mi è venuta nessuna paturnia. E devo fare ancora tanta strada. Mi piacerebbe lavorare con registi con cui ancora non è capitato, come Virzì e Martone, fare film all’estero, e sto sviluppando progetti come produttrice e per una mia seconda regia. Nonostante abbia lavorato tanto sento che sto ancora nel mezzo del cammino.
Come vive il suo rapporto col corpo, che giocoforza cambia, e per molte donne è oggetto di ansie, e anche depressioni?
Il mio è il corpo di un’attrice, è uno strumento proprio come la voce, l’anima, le esperienze. Lo tratto bene, lo alleno, e soprattutto non lo considero una mera cosa materiale che serve a portarmi in giro, ma è parte del mio spirito, un suo alleato. L’energia del mio corpo mi rispecchia in tutto e per tutto. Proprio come faccio con i pensieri, lo tengo leggero e funzionale. Dentro ai nostri corpi c’è l’anima e c’è il vissuto: insieme compongono una trinità inscindibile.
Dover essere sempre in forma è un lavoro, una fatica?
Ci vuole impegno e consapevolezza. Amo la pratica del massaggio. Ogni tanto mi diverto a definirmi una massaggiattrice, con due t. Adoro sentire lo scorrere delle vibrazioni di un corpo che ha bisogno di essere manipolato. È un prendersi cura di sé, come si fa automassaggiandosi i piedi o una spalla.
A proposito di corpo femminile, ha mai provato attrazione fisica per altre donne?
No, ho avuto tante storie di amicizia ma sono fortemente etero. Mi eccita il confronto con l’uomo, con qualcuno di veramente diverso da me, in pratica uno straniero. E poi la fusione con l’energia dell’uomo mi calma.
Il suo corpo le ha mai creato imbarazzi?
Io non sono pudica, non sono il tipo “Oddio, chiudi la porta”. Il che non vuol dire che vada in giro nuda, ma mi sento comunque libera. E poi il corpo per noi attori è uno strumento che appartiene al personaggio, e se nel racconto c’è un’esigenza di nudo io l’ho sempre affrontata con tranquillità. Bisogna anche capire che il set è come una famiglia, ci sono cresciuta, è una casa, un posto dove può succedere di tutto, anche cose magiche.
Ci sono scene che le è stato difficile girare?
Ma no! Magari mi viene da ridere. Mi ricordo che in DolceRoma di Fabio Resinaro, un film di 5 anni fa, interpretavo la moglie eccentrica di un produttore cinematografico, che si faceva riempire la vasca di miele e ci faceva il bagno. Ed è la prima scena che abbiamo girato, il primo giorno sul set. Nuda, solo con un minuscolo perizoma color pelle, entravo in una vasca piena di glucosio. Poi arrivava mio marito, che era Luca Barbareschi, parlavamo, infine dovevo uscire dalla vasca e andarmene. C’era un attrezzista, poverino, che mi doveva aiutare perché non scivolassi alzandomi e mentre scendevo dai gradini sotto la vasca. E lui mi fissava, ma come dire… non era una cosa da allupati, niente voyeurismo, era solo il suo lavoro, era preoccupato che tutto funzionasse senza incidenti.
È mai stata molestata?
Mi è capitato. E me ne sono andata. Per fortuna non sono state violenze fisiche.
E non ha pensato di denunciare, magari anni dopo?
No, perché ero molto piccola, avevo 16 anni. In Italia non c’è una legge che ti permetta di denunciare episodi di così tanti anni prima. Ho imparato semplicemente a cavarmela, a scappare, a tenere le antenne dritte. Lo dico sempre anche alle mie figlie: devono sapersi difendere. Nel mondo ci sono i malintenzionati, bisogna ascoltare quell’istinto di autoprotezione che le donne hanno sviluppato in secoli di fuga da maschi predatori.
Da cosa nasce la sua libertà, dai genitori? È stata l’educazione?
I miei non mi hanno mai repressa, nessuno mi ha mai sgridato perché una gonna era troppo corta. Non ho subito questo genere di restrizioni.
Che famiglia era la sua?
Mia mamma lavorava come segretaria alla redazione del TG3 Lazio, mio padre all’AMA, la municipalizzata di raccolta rifiuti di Roma. Erano molto giovani quando hanno avuto mia sorella Romina e due anni dopo sono arrivata io. Erano degli impiegati ma amavano ballare allo Scarabocchio e all’Alibi, un locale gay. Avevano amici che facevano teatro amatoriale. Quando non sapevano a chi lasciare mia sorella e me, ci affidavano a un loro amico parcheggiatore. Restavamo in macchina a dormire mentre lui ci sorvegliava. Mi diverte pensare a quegli anni, così gioiosi e così diversi da adesso.
Lei è stata la prima della sua famiglia ad avere un lavoro artistico?
Sì, ma sono quasi una figlia d’arte. Mio padre è una specie di enciclopedia, ti sa dire tutto del neorealismo. Anche oggi che ha 80 anni non dimentica un nome, gli chiedi di un’attrice e ti snocciola tutti i titoli dei film, gli anni, i registi. E mia madre era un’attrice nata: le piaceva ballare, cantare, è una di quelle persone che sanno raccontare, che imitano e fanno tutte le voci e i dialetti. Mi ha comunicato la sua verve.
Quando ha cominciato a pensare che voleva fare l’attrice?
Sono nata già così. Mentre mia sorella ha preferito fare l’impiegata, come i miei genitori, io sin da piccola avevo una grande passione per la danza. E mi inventavo delle storie, con mia sorella, tipo dirle che era venuta a scuola un’insegnante di danza e mi aveva selezionato per uno spettacolo, e invece non era vero niente, era un sogno. Fantasticavo, sentivo che sarebbe stato bellissimo far parte del mondo dello spettacolo.
Erano fantasie, ma poi cosa è successo?
Avevo ritagliato un coupon della rivista Cioè: diceva di mandare una foto e i propri dati per partecipare al concorso Miss Teenager. Quindi mi sono fatta un selfie di prima che ci fossero i telefoni – non so come ho fatto! – e sono andata a farlo sviluppare. Ricordo quando ho imbucato la lettera, con la fotografia e il coupon compilato, una cosa che adesso la devi spiegare ai ragazzi perché nemmeno la immaginano. E così ho partecipato alla selezione delle danzatrici, anche se mia madre mi portava a nuoto, nuoto, e ancora nuoto…
Come è andata?
Partecipavo con una coreografia fatta da me, aiutata da un amico di mia zia. Avevo fatto le prove sul terrazzo condominiale, con lo stereo, e la cassetta che facevo scorrere avanti e indietro. Ho passato prima la selezione provinciale, poi regionale, poi nazionale. E ho vinto la sezione danza ex aequo con un’altra ragazza, tutt’e due tredicenni, romane, bionde, capelli lunghi. Ho vinto un motorino, e quel punto potevo finalmente andare a danza da sola. Adesso fa ridere, ma quando ero in un supermercato, o nel traffico, pensavo “Adesso un produttore mi noterà, quello magari è un regista e mi nota, e mi vuole nel suo film”. Sognavo in continuazione. Poi mi sono iscritta a un’agenzia di pubblicità, moda e casting. Ho fatto la pubblicità dei Baci Perugina, poi Sergio Corbucci mi ha scelto per Roba da ricchi, nel 1987, e da lì pian piano è iniziata la mia carriera.
Lei è ancora continuamente citata per la battuta Viaggio di nozze, quando Jessica propone a Carlo Verdone, “‘O famo strano”. Le capita come ai cantanti che si stancano di ripetere la canzone che li ha resi famosi?
Jessica mi fa simpatia. E non ho mai rinnegato niente della mia carriera, non ho cancellato gli inizi, non ho mai detto: “Ho sbagliato a fare questo o quello e se tornassi indietro non lo farei”. Quando ho interpretato Jessica avevo 23 anni. Sapevo già che non dovevo farmi incasellare in un personaggio, e subito ho cercato di sviluppare tutte le corde delle mie capacità. Con Carlo Verdone abbiamo poi fatto Sono pazzo di Iris Blond e Grande, grosso e… Verdone. La nostra è una lunga storia d’amore cinematografico e di amicizia, però mi sono anche molto reinventata, per esempio con Non ti muovere di Castellitto, e La sconosciuta di Tornatore e poi tutti gli altri personaggi che mi hanno permesso di non essere solo Jessica.
In novembre uscirà Il corpo, film di cui è protagonista. Quel corpo è il suo?
È un noir magnifico di un giovane regista, Vincenzo Alfieri. Interpreto Rebecca, una donna ricca e potente a capo di una casa farmaceutica. Mio marito, Andrea De Luigi, è un trentenne bellissimo, più giovane di me. Lavora come biologo alle mie dipendenze. Sospetto che mi tradisca, gli regalo auto costosissime, lo provoco alle cene, lo metto in imbarazzo. Improvvisamente muoio e mi mettono all’obitorio. Il giorno dopo aprono il cassetto per tirare fuori il mio corpo, ma non c’è più. Sparito. Perché lo hanno rubato? Per impedire l’autopsia? Cosa c’era nel vino che mio marito voleva farmi bere? Ma sono davvero morta? Iniziano i flashback che riavvolgono la storia della coppia. Rebecca è cattivissima. Ma io la amo, perché sono buona, e almeno mi sfogo a fare la cattiva sul set.
Quindi vedremo il suo corpo nudo nel cassetto dell’obitorio, prima che sparisca?
Sì, ma ricordo soprattutto che nelle scene di cambio dell’inquadratura, quando uscivo dal cassetto e mi mettevo in un angolo, ero così suggestionata di essere morta che mi astraevo, e mi dicevo “Ma vedi le persone vive come si affannano, tutte formichine che lavorano e lavorano, mentre io sono morta e sto bene, sto qui e non devo fare niente, c’è tutto un aldilà molto più tranquillo di questa vita che ci fanno fare…”.