È stata la mano di don Vincenzo
La fisiognomica, disciplina che deduce dall’aspetto di una persona le sue caratteristiche psicologiche e morali, è del tutto inaffidabile. Prendiamo Cristiana Capotondi: una bellezza alla Simonetta Vespucci, colei che fu la musa di Sandro Botticelli e l’ispirò nei ritratti femminili, a partire da quello più somigliante a Cristiana, la celeberrima Nascita di Venere. Stesso ovale leggiadro, stessa espressione dolce e remissiva persa in sogni spirituali, vagamente malinconici.
Eppure, Cristiana è tutt’altro. Alla tenerezza dei suoi lineamenti, corrispondono invece forza, vigore, volontà. Una femminilità moderna e piena di determinazione.
Partiamo dall’inizio, dalla formazione. I suoi genitori?
Roma, Trastevere. Mamma di origine ebraica, farmacista; papà cattolico che segue le attività della basilica di Santa Maria, rappresentante di attrezzature per auto. Una sorella che ha due anni più di me. Sin da piccola, respiro i due grandi monoteismi, crescendo in un quartiere molto complesso.
Com’era Trastevere 40 anni fa?
Il giorno in cui nasco, in piazza San Calisto, a due passi da casa, viene ucciso il Libanese, uno dei protagonisti di Romanzo Criminale. Era un quartiere misto: il ceto medio, con una forte presenza della comunità ebraica, ma anche molte famiglie trasferite a Trastevere per stare vicino a parenti detenuti nel carcere di Regina Coeli. Ho frequentato scuole pubbliche, e il quartiere mi ha restituito una complessità sociale di cui ancora oggi gli sono grata. Negli anni Ottanta e Novanta, si respirava boom economico e speranza nel futuro. Ma a Trastevere, nelle palazzine malridotte con appartamenti di 40 metri occupati da famiglie numerose, ho avuto l’opportunità di vedere l’altro lato della medaglia.
C’erano anche spaccio e tossicodipendenza.
Non a caso, negli anni Settanta nasce a Trastevere la Comunità di Sant’Egidio, con lo scopo di recuperare persone del quartiere. E lì ho cominciato a frequentare il nostro parroco, don Vincenzo Paglia, ora arcivescovo a capo della Pontifica accademia per la vita. In quegli anni, andava a raccogliere i ragazzi per strada. Sono ancora in contatto quotidiano con lui.
La sua carriera è iniziata molto presto. Come è successo?
Succede che nella mia parrocchia, Santa Maria in Trastevere, arriva la Rai per girare un servizio sugli scout. Io ero una ragazzina molto estroversa, mi piaceva la dialettica, con le mie amiche facevamo degli spettacoli in casa, sfilate con modelli creati usando lenzuola e tovaglie delle mamme. Quel giorno, con la troupe mi comporto con spontaneità. E poi mi piaceva proprio il concetto di lavorare con degli adulti, improvvisando davanti alla macchina da presa per lasciare qualcosa che rimanesse, la documentazione delle attività di noi scout. Alla fine della giornata, don Vincenzo Paglia dice ai miei che sono stata bravissima e che gli operatori della Rai si erano complimentati perché ero stata utile.
Pensare che lei ha un aspetto da timida.
Oggi sono più riservata, ho imparato il piacere dell’ascolto, dell’introiettare le parole e i pensieri degli altri. Ma sono partita da una totale mancanza di timidezza. Amavo il gioco, anche con i maschi: la pallavolo, la bicicletta, il calcio a villa Sciarra e villa Pamphili, il bagno nelle fontane… Ero una preadolescente con le ginocchia sbucciate, l’amica furbetta con cui condividere i giochi. In pratica un maschiaccio.
Torniamo all’inizio della sua carriera.
Avevo un carattere forte, ero problematica non nel senso che si intende ora (magari alludendo a disturbi alimentari), ma nel senso che era difficile dirmi di no. A 13 anni, dopo che don Vincenzo aveva detto a mio padre quanto ero stata brava, chiedo e ottengo di collaborare con un’agenzia di spettacolo. Così a 13 anni esordisco nella pubblicità del Tegolino Mulino Bianco e in Amico mio, una serie televisiva della Rai.
Com’è diventare popolare, famosa, da preadolescente?
Mi prendevano in giro, mi chiamavano col nome della merendina. Però ho risposto razionalizzando. Non potevano ostacolarmi nella mia voglia di fare l’attrice. Ero molto determinata. Anche nel rapporto con il cibo: non ho mai avuto problemi alimentari perché volevo crescere, diventare grande, e per farlo bisognava mangiare.
E le piace ancora mangiare o è sempre a dieta, come molte attrici?
Nooo! Amo cucinare e il mio luogo preferito è la cucina. Da piccola osservavo mia nonna e la nostra tata di Alatri mentre cucinavano: ho imparato tantissimo da loro. L’imprinting che mi hanno lasciato è: “Non sia mai che viene qualcuno”. Deve essere tutto in ordine, e in casa bisogna sempre tenere qualcosa per poter cucinare per 5 o 6 persone.
Dai 13 anni in poi la sua carriera prosegue ininterrottamente, tra tivù e cinema. Avrà avuto problemi con i ragazzi, magari erano intimiditi.
Nessun problema. A 13 anni, in montagna al Terminillo, conosco un ragazzo di Roma e iniziamo una storia che andrà avanti per tutta la mia adolescenza, sino all’università. Un rapporto che mi ha protetto. Avevo stabilità nel lavoro e stabilità sentimentale. Studiavamo, giocavamo a pallone, tifavamo la Roma. Io ho molte cose in comune con il genere maschile. Dopo un po’, divento sempre “l’amico Mario”.
Lei era già attrice a tempo pieno, come mai si è laureata in Scienze della comunicazione: pensava a un piano B?
In effetti, dopo lo scientifico avrei voluto studiare Fisica o Ingegneria navale, ma era obbligatoria la frequenza, e io lavoravo. I miei volevano che mi laureassi, così mi sono iscritta alla Sapienza, in una facoltà dove poi sarebbe facile trovare un posto di lavoro. È stato molto bello, formativo e anche divertente. Allora lavoravo come attrice ma non era ancora esplosa la mia carriera. Il vero successo è arrivato con il film che ho iniziato a girare il giorno dopo la laurea, Notte prima degli esami.
Era il 2006. L’anno della svolta nella carriera di attrice e anche della svolta sentimentale. È iniziata la sua storia con Andrea Pezzi. Come si mantiene per così tanto tempo un rapporto sentimentale?
Al di là del fatto che ci sono alchimie inspiegabili, non razionali, credo che il segreto sia non fondersi ma essere alleati, fan, sostenitori l’uno dell’altra. A me è accaduto questo. Io sono sempre alla ricerca di rapporti in cui si costruiscono memorie, ricordi, e però anche progetti. Caratterialmente ho bisogno di pensare al futuro.
Vi è mai venuto in mente di sposarvi?
Il matrimonio non è mai stato un tema nella mia vita. Forse sono anche figlia di un tempo in cui non ci si è più sposati. È un sogno che avevo da ragazzina: sposare il fidanzatino storico. Ma con Andrea non ne abbiamo mai parlato.
E i figli? Non ne avete. Le dà fastidio questa domanda che si fa sempre alle donne e quasi mai agli uomini?
Secondo me, il tasso di natalità molto basso è la rappresentazione di come oggi le donne si vedono nella società. Il modo in cui sentono di poter contribuire alla prosecuzione della specie e il modo invece in cui sentono che questo ostacolerebbe la propria realizzazione personale, impedendo un percorso fuori dalle mura domestiche. Mia madre si è raccomandata con me sin da piccola perché coltivassi l’indipendenza. Penso che lei avrebbe desiderato fare il medico e non la farmacista, ma aveva rinunciato, perché l’ingaggio di una donna nella maternità è molto più complesso di quello di un uomo. Non ho mai detto di non volere figli, però bisogna costruire una narrazione diversa perché questo senso dell’obbligo è quello che tiene lontano molte donne. E poi ci vogliono paracadute sociali, perché non è giusto che per crescere i figli si possa contare solo sulle nonne, le mamme, le zie, le sorelle.
Lei è impegnata in molte attività diverse dalla recitazione: per esempio, con Andrea Pezzi ha fondato l’associazione culturale Io sono.
Lo scopo è quello di diffondere i grandi valori dell’umanesimo, di creare un luogo d’incontro e riportare l’attenzione sull’uomo per arginare una rivoluzione digitale che non è antropocentrica. La tecnologia può essere utile ma deve essere guidata da un essere umano che conosce profondamente sé stesso. E poi ho fondato anche Fuori cinema, una manifestazione cinematografica che non è volta a promuovere film in uscita ma a far incontrare gli artisti con la città. Milano risponde straordinariamente bene a queste iniziative.
E poi c’è il suo impegno con il calcio.
Mi piace diversificare. Sono stata vicepresidente della Lega Pro e oggi sono capodelegazione della Nazionale femminile. Il calcio mi è sempre piaciuto, vederlo da dentro è un’emozione bellissima. Sono stata sempre romanista, poi con gli anni si migliora nel senso che il tifo diventa tifo per la maglia della nazionale. Però sono nata calcisticamente vedendo giocare Francesco Totti. Quando ha lasciato, in me si è spento qualcosa. So che i puristi sostengono la maglia lo stesso, però dopo quel suo giro catartico dello stadio, un evento collettivo di maturità in cui tutti siamo cresciuti, il mio sogno si è interrotto. Totti si è fatto voler bene in maniera fin troppo generosa, ha offerto tutto sé stesso a Roma.
Lei vive a Milano. Le manca Roma?
Quello che mi manca di Roma, è la vicinanza al mare, la mia più grande passione, anzi, una necessità. Tra ottobre e novembre e poi da maggio a metà giungo vado a fare il bagno ai Cancelli di Torvaianica, altrimenti da Milano prendo la macchina e vado a Genova.
Il mare la vede impegnata su un altro fronte.
Sono parte di One Ocean Foundation, che si occupa di formazione e prevenzione e sostegno di attività per la salvaguardia dei mari: dalla lotta alle microplastiche, alla sostenibilità. Mi dedico anche privatamente a raccogliere la spazzatura del mare. La cosa che non si immagina è quanto poi sia difficile lo smaltimento dei rifiuti, quando arrivi in porto con oggetti di grandi dimensioni.
È anche protagonista della campagna pubblicitaria della nuova Lancia Ypsilon Alberta Ferretti.
È un’auto con motore ibrido e interni ecosostenibili, per tornare ai temi di attenzione alla salvaguardia del pianeta. Per giunta, questi due marchi, Lancia e Alberta Ferretti, sono eccellenze del made in Italy, entrambi vicini al mondo femminile, sia per senso estetico sia per il modo di comunicare la donna, nelle sue tante personalità e ruoli.
E poi è protagonista della serie Le fate ignoranti.
Abbiamo finito di girare in settembre e andiamo in onda dal 13 aprile. Una storia bellissima, girata magistralmente da Ferzan Özpetek. Non vedo l’ora di potermela godere a casa, senza quel bailamme emotivo che ti prende quando vedi per la prima volta il montaggio, nella serata di presentazione davanti al pubblico.
Una volta ho chiesto alla produttrice di una serie televisiva “Che cosa pensa di Cristiana Capotondi?”. Mi ha dato una risposta bellissima: “È una dalla parte giusta del mondo”.
Sono contenta perché ogni volta mi chiedo se ho difeso la mia posizione, se ho saputo esprimerla, se ho rispettato l’altro ma ho rispettato anche me stessa. Questo significa che ho imparato a farlo!