Camilla Baresani

Sommario

ELISA – Credo nell’utopia che diventa musica

- Grazia - I miei articoli Interviste

La casa di Elisa è un sogno: il sogno della luce che entra in una grande cucina ordinatissima, si stende sul prato, sui quarzi della piscina ecocompatibile, sugli alberi da frutta, sull’orto, sul gatto di razza Maine Coon, sul cane di nessuna razza specifica e di nome Blacky (“È malandrina, ruba sempre il cibo dal tavolo”), sulla pedana elastica e sulla carrucola comprata durante la pandemia, per lanciarsi attraversando il giardino. Tutto ideale per ospitare una famiglia felice. Se per giunta aggiungiamo il grandissimo successo di Elisa, questa casa ci offre la perfetta rappresentazione di un sogno condiviso. Chi non la vorrebbe una vita così? E poi lei è gioiosa, una ragazzina con la maglietta a righe che, mentre arrotola ciocche di capelli tra le dita, si racconta con spontaneità e freschezza.

Elisa, in questa casa c’è un sogno reso reale ma ci sono anche bauli che contengono i suoi diari, gli appunti, le fotografie, i video… i ricordi dove spesso si annidano sofferenze irrisolte.

Ormai sono riuscita a superare il dolore di essere cresciuta senza padre, dato che viveva con un’altra famiglia. Un risultato molto recente, perché mi sono sempre molto concentrata sul mio sogno e anche sulla felicità. Affrontavo i limiti e i demoni opponendo degli obiettivi, cercando di spronarmi. Però, quando ci sono dei dolori che tornano e sono molto profondi, servono tanti anni per elaborarli, soprattutto se lo fai da sola. Io ho scelto un modo meditativo, non sono andata da uno psicologo; oggi sono contenta e in pace con me stessa. Questo raggiungimento è molto recente. È arrivato dopo la nascita dei miei due figli, pochi anni fa.

In che rapporti è con l’altra famiglia di suo padre?

C’è molto rispetto. Mia madre è stata 25 anni con mio padre. Si sono lasciati quando avevo 10 anni. Io ho conosciuto meglio i miei fratelli più grandi dopo la morte di mio padre, nel 2015. Bisogna considerare che erano altri tempi, in cui le doppie famiglie difficilmente facevano incontrare i figli. Poi abbiamo cercato di recuperare, ed è stato anche molto bello.

E che rapporto aveva con suo padre, buono o cattivo?

Nessuno dei due: diciamo che non avevo un rapporto con mio padre. Ho scritto anche tante canzoni su questo. Non ci conoscevamo molto bene.

Però lo amava o lo detestava?

Entrambe le cose. Sa, vedevo mia mamma innamorata persa di quest’uomo che c’era e non c’era, su cui comunque non poteva contare.

Chissà quanto ha sofferto sua madre.

Moltissimo. Io e lei abbiamo avuto questa conversazione proprio l’altro ieri e mi ha detto: “Rifarei tutto”. È stata una storia d’amore incredibile, e pur nella sofferenza ci siamo persino non divertiti… di più. Anche con mio padre. Quando c’era, venti giorni di vacanza d’estate, era incredibile, supersimpatico.

E la moglie di suo padre perché non lo lasciava, come tollerava che avesse anche la vostra famiglia, che faceste le vacanze insieme?

Questo bisognerebbe chiederlo a lei, anche se penso che anche lei abbia sofferto. Io l’ho vista solo da lontano, non la conosco.

Sua madre avrà subito pettegolezzi e pregiudizi.

Mia madre è una persona molto libera. Non gliene è mai fregato niente di cosa pensassero gli altri. Non mi ha instillato l’idea che dovessi creare una famiglia tradizionale, ma l’idea della libertà.

Scrivere canzoni le serve per elaborare, comprendere, superare la sofferenza?

Io scrivo di emozioni, cose che c’entrano con la mia vita e con le vite degli altri, ma anche con la mia visione del mondo. Per elaborare i sentimenti negativi ho bisogno di tempo e mi affido all’universo. E poi mi aiuta la danza, il movimento del corpo.

Che studi ha fatto?

Un macello. Non mi sono diplomata, perché quando avevo 14 anni mia madre mi ha iscritto a un istituto professionale, segretaria d’azienda. Ma io volevo frequentare l’istituto d’arte: facevo graffiti, dipingevo la mia camera e avevo imbrattato quelle degli amici, suonavo, cantavo, ballavo. In tre mesi mi sono fatta mandare via da quella scuola che, per quello che volevo fare io, ritenevo totalmente inutile. È stato il mio il mio periodo punk, da ribelle.

E sua madre come l’ha presa?

Non andavamo tanto d’accordo in quel momento. Così per un anno sono andata a vivere da mia sorella, e facevo la parrucchiera da lei.

Ha paura di vivere un conflitto simile con sua figlia?

No, per niente. Non sta né in cielo né in terra, noi parliamo sempre di tante cose: musica, cinema, sport, l’orientamento sessuale. Compirà 13 anni a ottobre, e le ripeto sempre che deve sapere che le voglio bene, che non le volterò le spalle per nessun motivo al mondo, che questa è la sua casa, e io per lei ci sono.

Con sua madre non vi parlavate?

In quel periodo della sua vita non aveva la forza per occuparsi di me in quel modo, per liberare i suoi sentimenti. Non è così scontato lasciar fluire l’amore.

Forse a lei viene più facile perché ha un marito accanto a sé.

No. I sentimenti per i miei figli sono incondizionati. La situazione di mia mamma però era diversa: aveva paura per il nostro futuro, e per giunta non aveva l’appoggio dei suoi genitori. Però, lo ripeto, è stata per me un grandissimo esempio di coraggio e libertà.

Lei è gelosa? Sua madre doveva essere molto resistente alla gelosia.

Più che altro non si rendeva neanche conto, era come accecata, me lo ha detto tante volte.

Io forse un po’ gelosa… Ma non tantissimo, dài. La gelosia e la possessività sono come l’edera, non le provi per una persona sola: coinvolgono marito, figli, amici.

Suo marito Andrea, che è chitarrista e produttore musicale, lavora con lei. E anche sua sorella Elena ha lavorato con lei. Una sorta di clan?

Io ed Elena siamo molto legate da quando ero piccola e lei, che ha 11 anni più di me, mi ha aiutato molto. Io sono una casualità, lei era voluta. Sono capitata quando mia mia madre e mio padre stavano cominciando a lasciarsi. Lui era un imprenditore navale, mentre noi eravamo una famiglia di parrucchieri. Mia madre, mia zia, mia sorella… anche io l’ho fatto per mantenermi. In seguito, Elena mi ha fatto da manager per quasi dieci anni, ma nel 2009, quando è nata mia figlia, abbiamo cambiato tante cose. C’era diversità di carattere e di approccio al lavoro. Poi, anche con sofferenza, ci siamo impegnate e abbiamo recuperato il nostro rapporto di sorelle. Del mio mondo, Elena non amava gli aspetti manageriali e diplomatici, ma amava la produzione dal vivo e la realizzazione di grandi eventi. Ha continuato a fare quello, e ha aperto anche altre attività. È vulcanica, com’era mio padre. A volte, le nostre strade lavorative si incrociano ancora.

Lei è stata una delle rare persone che da sin piccole sanno cosa fare da grandi, e realizzano quel sogno.

Ho dipinto, ho recitato in teatro, ho girato videoclip senza essere una professionista. Ho comunque sempre cercato di dare corpo alle emozioni, non solo con la musica.

Spera che anche i suoi figli sappiano orientarsi com’è riuscito a lei?

Mi sono molto interrogata su come devo essere con loro e ho capito che non devo mettere pressione. Quanto conta trovare una propria passione e provare a trasformarla in un lavoro, e quanto conta avere una missione ancora più ampia, che è la ricerca della felicità? È più importante la seconda. Non è possibile per tutti vivere della propria passione. Si possono avere lavori complementari: ho un’amica pittrice bravissima ma vende frutta biologica, e ama il suo lavoro.

Quando le viene un’idea per una canzone, quanto tempo ci vuole per completarla?

Le canzoni più potenti di solito vengono di getto: nascono come una melodia che ha dentro delle parole, un immaginario. Le scrivo in meno di mezz’ora: Rainbow; Anche fragile; Bagno a mezzanotte, che ho scritto per Elodie; e Rubini per Mahmood.

Se quando nasce il barlume di una canzone sta nell’orto, o al ristorante, come fa a ricordarla?

Ho sempre con me un blocchetto e delle matite perché mi piace vedere la mia scrittura. Per le melodie uso i memo vocali del telefono.

E poi sviluppa subito la canzone?

Dipende se la melodia è invasiva, se torna: allora capisco che è qualcosa di importante e mi ci dedico immediatamente.

Lei ha cominciato da zero, ha mai paura di restare senza soldi?

Quando ero piccola si arrivava a fine mese sempre un po’ a pelo. Mio padre stava bene economicamente ma non aiutava molto la mamma, che quindi ha sempre fatto fatica. E poi mio nonno era stato operaio di cantiere, quindi la questione del lavoro la sentivo. Sono stata sempre dura con me stessa: volevo essere indipendente. Ho subito iniziato a lavorare e mantenermi e non ho più chiesto soldi per la benzina del motorino, per i jeans, e neanche per un microfono o un paio di casse. Sapevo che dovevo stare attenta a come mi gestivo. Poi mia madre ha dovuto firmare il mio primo contratto perché ero ancora minorenne. Sono andata in America, ho esordito con un album che ha venduto più di 300mila copie, sono diventata famosa. Avevo 19 anni, e da allora non ho più avuto bisogno di soldi.

Ha speso spensieratamente, come capita a molti che si trovano da ragazzi a guadagnare molto? 

Non spendevo e non spandevo, ma una volta che avevo gli ultimi soldi, dopo il secondo album, mi era venuto una specie blocco creativo. Così, per uscirne, ho deciso di fare una cosa divertente e pericolosa. Vede questo pianoforte Yamaha a mezza coda? Ho speso tutti i soldi che avevo, e due mesi dopo, con lui ho scritto Luce. Me lo sono ripagato. Però non ho mai avuto l’idea di fare musica per guadagnare, per vendere di più. È successo al di là della mia volontà.

Teme invece di avere un calo della creatività?

Ho un’età molto strana per una donna nello show business. La musica pop è giovane, e sto per compiere 45 anni. Vengo dagli anni ‘90 della musica, un mondo che non c’è più. Ma non mi pongo il tema della creatività. È una domanda troppo più grande di me. Voglio solo continuare a scrivere emozionandomi.

Una vita sempre in tour. Che tappe farà quest’estate?

Con il Back to the future live tour, che è partito dall’Arena di Verona, toccherò tutte le regioni italiane. Sono quasi 40 date in luoghi di particolare bellezza paesaggistica, organizzate seguendo un protocollo di basso impatto ambientale. Sono stata nominata Advocate/Champion della campagna ONU sugli obiettivi di sviluppo sostenibile. E durante il tour faremo una raccolta fondi per piantare migliaia di alberi in ogni regione italiana.