Ogni anno, al Chelsea Flower Show di Londra viene assegnato il premio per il “Best Chic Garden”. Osservando il giardino nella corte di Palazzo Piavoli, viene da pensare che è talmente chic da meritare quel premio. Un giardino che rappresenta chi lo ha assecondato, lasciandogli la sua aria di sbrigliata lussuria rurale, non facendolo pettinare da vivaisti, architetti dei giardini, paesaggisti. Questo giardino cresce e fiorisce nella corte e nel brolo di un palazzo dei primi dell’Ottocento, nella zona delle colline che bordeggiano il meridione del lago di Garda, a pochi chilometri da Sirmione. La dimora, meravigliosamente delabré, è nel centro del paese di Pozzolengo (il nome evoca l’abbondanza di pozzi) ed è la casa di famiglia del più speciale e chic dei registi italiani, il grande Franco Piavoli, l’uomo che ha trasformato in irresistibili trame filmiche i campi di grano, le stoppie, lo scorrere dell’acqua e delle stagioni, il suono degli insetti e della pioggia, gli erbari, la sensualità delle coppie che ballano in un cortile, le pozzanghere, le erbe scosse dal vento, le persiane chiuse per proteggersi dalla canicola. Franco Piavoli è il regista che, esplorando con la macchina da presa i volti dei protagonisti dei suoi film, li ha trasformati in paesaggi: facce percorse da emozioni e pensieri o semplicemente attraversate dalla sonnolenza, lineamenti dentro cui si agita un mondo nascosto proprio come in un campo si agitano vite che non vediamo, lombrichi, lucertole, formiche, rospi, cicale.
L’idea che sostiene le pellicole di questo straordinario artista è un tributo al meraviglioso disordine della natura, all’eterna spontaneità del divenire. Piavoli, dall’alto dei suoi più di ottant’anni che indossa con agilità ed entusiasmo da ragazzino, ci ha ricevuto nel regno di Pozzolengo, nella palazzetto dove il padre, medico del paese, lanciava ai pazienti le ricette dalla finestra, e dove oggi vive in larghezza di spazi con il figlio Mario, filmaker, la nuora, le nipoti e un curioso inquilino pittore, e dove soprattutto aleggia lo spirito dell’amata moglie Neria, con cui ha progettato e girato tutti i suoi film, in invidiabile simbiosi. Già, i film. Avete mai visto Il pianeta azzurro? Rivelazione nel 1982 alla 39esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, fece dire all’autorevole critico Tullio Kezich che ci sarebbe voluta un’apposita legge per obbligare gli italiani a vederlo. Kezich probabilmente auspicava squesta visione collettiva perché dai film di Piavoli si esce migliori (o per lo meno con l’illusione di esserlo), riconciliati con la natura, il tempo, il corpo, l’essenza di sé e delle cose. “Poema panteistico”, “poema visuale e sonoro”, “poema bucolico e al contempo epico” sono definizioni che vennero attribuite a questo film sorprendente che documenta il susseguirsi delle stagioni umane, agricole, paesaggistiche accompagnandole con notazioni che riguardano le nostre vite, la gioia esplosiva dell’infanzia, la stagione dell’amore, le preoccupazioni e le soddisfazioni, il lavoro, la gola, la noia. Il tutto senza bisogno di testi recitati, del fluire di parole che sarebbero solo un commento stonato, perché i suoni sono già sufficienti per capire il sottotesto del film.
Da dove nasceva questo regista rivelazione? “La svolta è stata quando verso i sedici anni, facendo una gita in battello sul lago di Garda, ho trovato una cinepresa da 8 millimentri dimenticata da un turista. E il battelliere mi ha detto ‘Tienila pure’”. Nel mezzo, sempre a Pozzolengo, c’era stata anche l’intensa amicizia con il celebre fotografo Ugo Mulas, il cui padre era maresciallo dei carabinieri. Se Mulas era il fotografo delle persone e dei personaggi, Piavoli iniziò invece fotografando la natura. “Mio padre mi diceva di non perdere troppo tempo, e così anche se volevo iscrivermi a lettere (‘No, quella è una facoltà per donne’) mi sono iscritto a medicina, ma alla prima dissezione anatomica ho capito che non faceva per me. Allora ho studiato giurisprudenza e ho fatto l’avvocato per compiacerlo, ma con scarsi risultati. Nel frattempo, avevo conosciuto Neria, a Ponti sul Mincio, vicino a casa, mentre fotografavo la luna. Avevo 23 anni, lei 20. Ero timido, pieno di complessi, abbracciavo subito le ragazze e le stringevo nel modo sbagliato, e invece è stata lei a rivolgermi la parola per prima, ad abbracciarmi”. Un incontro perfetto. “Che bello che è stato, abbiamo subito iniziato a fare passeggiate insieme, nella natura. Avevamo le stesse passioni, raccoglievamo le erbe, ci piaceva studiare la struttura e il comportamento del corpo umano nel passare del tempo. Andavamo a fare l’amore in campagna, a rubare i frutti, ci appassionavamo al mutare delle luci. Era una ragazza stupenda e liberissima”.
Dopo poco, Piavoli lasciò l’avvocatura Girava cortometraggi e viaggiava in Europa con Neria. Per un po’, fece l’insegnante in un istituto tecnico. Poi, in Italia si fecero leggi che permettevano di prepensionarsi con soli 20 anni di lavoro. Piavoli colse l’occasione. Nel 1979, un amico che da tempo ammirava i suoi cortometraggi e le sue fotografie naturalistiche, lo spinse a girare il film di cui Piavoli gli aveva parlato, un lungometraggio sul passaggio delle stagioni. L’amico, il regista e scrittore Silvano Agosti, produsse Il pianeta azzurro e quando, nonostante i premi e le ottime critiche, scoprì che non si riusciva a convincere gli esercenti a programmare il film nelle sale, rilevò un cinema, l’Azzurro Scipioni di Roma, dove venne proiettato con successo per anni.
“Io e Neria ci siamo presi la libertà di girare i film con i nostri tempi, in due o tre anni, assecondando la natura. Avevamo il piacere di fare l’amore non solo tra noi ma con le erbe, le acque, e anche quello di osservare il declino delle cose”, racconta Piavoli. L’universalità di questi suoi poemi videosinfonici (tra cui i due splendidi Voci nel tempo, del ’96, e Al primo soffio di vento, del 2002) fa pensare a una frase che abbiamo sentito pronunciare al celebre regista Nikita Michalkov, dopo la proiezione di un suo film alla Mostra del cinema di Venezia, mentre il pubblico lo acclamava: “Questi applausi confermano una mia idea di sempre. Che solo con un progetto profondamente locale si può fare un film molto internazionale”. I film artigianali di Piavoli girano tutti attorno alle torbiere, ai corsi d’acqua, ai campi, alle piazze, alle cascine, agli abitanti della zona delle colline meridionali del Garda. Ma sono profondamente internazionali. Infatti, hanno ottenuto innumerevoli premi e riconoscimenti in tutto il mondo: al Mill Valley Festival di San Francisco, al Festival di Mosca, al Sundance Festival, sino alla retrospettiva integrale del 2016 al festival Cinema du Réel di Parigi e alla recente retrospettiva nella 22esima edizione di La Milanesiana. Elisabetta Sgarbi, ideatrice del festival, dice di Piavoli: “Il suo sguardo raccoglie l’intero mondo, avvolge gli uomini e la natura, la vita e la morte, la poesia e il macello del cosmo. Secondo me, è anche un filosofo”.