Camilla Baresani

Sommario

CHIARA GAMBERALE – “L’isola dell’abbandono”

- Grazia - I miei articoli Interviste

È la più empatica degli scrittori italiani. Uno dopo l’altro, i romanzi di Chiara Gamberale hanno convinto i lettori che si stesse parlando proprio di ciascuno di loro, non solo di personaggi fittizi inseriti in una trama di fantasia. Si è così creato un filo saldo tra questi lettori e Chiara, un fan club spontaneo per cui, a ogni presentazione di un suo nuovo libro, accorrono frotte di adepti che cercano nell’incontro con la scrittrice un segno di compartecipazione alle proprie esistenze. “Per me, i lettori sono gli amici immaginari che finalmente esistono”, dice Chiara. “Una di loro, una ragazza di Treviso, mi ha detto: ‘Grazie perché ci autorizzi la diversità’. Infatti, nei miei libri c’è il contrario della ricetta del guru, non sono consolatori. Non ci trovi risposte, né regole per vivere bene: c’è invece la fatica di uomini e donne che non hanno una soluzione in tasca, però non vogliono rinunciare ad amare ancora. Nell’incontro con i miei lettori ho scoperto che siamo in tanti a litigare con la disperazione e la voglia di amare”.

Con Chiara, ci siamo date appuntamento in un ristorante di Roma, nel quartiere Monti, dove lei vive con Vita, la sua bambina di poco più di un anno. I camerieri, che la conoscono e sono suoi fan, si sono mostrati preparatissimi sul libro in uscita: Chiara l’ho prenotato! Chiara sarà bellissimo! Chiara verrò alla presentazione!

Non avevo mai visto una simile passione libresca tra i lavoratori di un ristorante.

Questo suo nuovo appassionante romanzo, L’isola dell’abbandono, contiene in forma narrativa temi che hanno toccato le esistenze di tutti noi. Il libro è dedicato “A chi resta”, cioè ad Arianna, la protagonista, e ovviamente all’Arianna che è in noi oltre che in Chiara. Arianna è anche il nome di una figura mitologica, la figlia del re di Creta che, illusa da Teseo, venne da lui abbandonata sull’isola di Nasso (in Naxos, in asso, da cui “piantare in asso”).

Mi sembra che le due parole del titolo, “isola” e “abbandono”, ricorrano nel contenuto di tutti i tuoi romanzi. È così?

Per me, le isole sono importantissime. Su un’isola ho iniziato a scrivere ogni mio libro, molto spesso fuori stagione. Specialmente su isole greche, ma in questo caso invece in Sicilia. Quando arriva il momento della creazione, la musica della città smette di piacermi, ho bisogno di migrare. Per amore di un’isola mi sono persino inventata un festival letterario, Procida racconta, che quest’anno, in giugno, sarà alla quinta edizione. Procida si riempie di lettori che arrivano da tutta Italia per incontrare gli scrittori di quell’anno.

Il tuo nuovo romanzo inizia con una riunione di autocoscienza di “genisoli”, cioè genitori soli, cui partecipa la protagonista Arianna. Tu stessa sei una mamma sola. Cosa ci dici dell’altra parola del titolo, “abbandono”?

È un tema universale che mi tocca particolarmente perché ho sempre sofferto di sindrome dell’abbandono. Nella mia famiglia non ci sono state tragedie tipo morti o separazioni, i miei sono ancora insieme, eppure, forse, il fatto di aver visto mio padre per tanto tempo quasi solo di spalle, sempre impegnato col lavoro, mi ha fatto pensare che per lui fosse più importante quello che c’era fuori di quello che c’era dentro. E poi, comunque, sin da piccola ho avuto paura di essere abbandonata. Quando qualcuno mi diceva “resto”, io temevo che fosse una bugia.

Ho dormito con mia madre sino ai tre anni. Con mia figlia, nonostante in casa ci siamo solo io e lei – il padre abita a Milano -, già da quando aveva sei mesi, sto giocando sull’indipendenza e la lascio dormire sola, nella sua stanza.

Nel romanzo, Arianna ama Stefano, che è un bugiardo e un traditore. In seguito ama anche Di, il ragazzo conosciuto a Naxos dove era stata abbandonata da Stefano, e più tardi Damiano, che era lo psicoterapeuta di Stefano. Li ama tutti di un amore diverso. Nel frattempo, qualcuno muore, qualcuno nasce e passano dieci anni…

L’isola dell’abbandonoè un libro sulle trasformazioni. Sottopongo la mia protagonista alle tre grandi trasformazioni che possono accadere a una persona: quando ci si innamora, quando muore qualcuno che si ama, e quando nasce un figlio. Quanto siamo disposti a cambiare ogni volta che la vita ce ne offre l’occasione?

E tu, Chiara, quanto ti sei trasformata? Immagino che anche con questo romanzo ti sia ispirata alla tua esperienza.

Pensa che mi sono sempre immaginata madre. Da piccola sognavo di avere quattro figli, però non arrivavano, e ormai pensavo a come realizzare il mio futuro senza che mi fosse capitato. Non ci credevo più: il mio ginecologo mi aveva detto che non avevo un utero ospitale. Stavo per compiere i quarant’anni, quando ha scoperto di essere incinta. La situazione era particolare (non vivevo col padre della bambina che sarebbe nata, né avevamo in progetto di farlo), e di solito io ho tante voci che mi parlano nella testa: chi dice no, chi dice sì, chi dice forse. Ma per la prima volta nella mia vita c’era solo un sì. Poi, io ho sempre sentito la violenza dell’esistenza quotidiana, nel suo ribadirsi ogni giorno uguale a se stessa, e proprio per questo, prima di Vita, viaggiavo moltissimo. Ma con l’arrivo di un figlio non puoi più scappare. Dove vai? La cosa incredibile è come mi sia venuto naturale il passaggio dalla libertà incondizionata alla più incondizionata dedizione. Ho scoperto che sono una madre molto migliore di quanto sia stata come moglie e fidanzata.

Arianna, la protagonista del libro fa un figlio con un uomo sposato. È stato anche il tuo caso?

No, io sono un po’ un’eccezione: non sono mai stata con uomini sposati. Anziché l’amante, sono sempre stata la moglie tradita.

Stefano, il primo grande amore di Arianna, è il classico uomo deprecabile, quello che ti tradisce sempre e che ti porta alla follia. Perché continuiamo ad amare gli uomini come Stefano, come Teseo?

Secondo me Teseo ce l’abbiamo dentro, è come se ci accompagnassimo con un uomo che fa la parte sporca, che mette in scena la nostra parte oscura, per esempio i disturbi alimentari, oppure certe ossessioni. Amare uno Stefano è come avere un nemico al fianco, invece di averlo dentro. La realtà è che nelle nostre vite un nemico c’è sempre, e tramite la temperatura altissima di questo genere di amori, che provocano dolori e felicità profondissime, abbiamo la possibilità di trasformarci e crescere.

È il tuo dodicesimo libro. Per la tua scrittura è fondamentale, oltre all’incontro con gli altri, l’autobiografia?

Quando è uscito il mio primo romanzo avevo appena compiuto 19 anni. Scrivere è il mio modo per sopportare l’esistenza quotidiana. Io scrivo anche mentre non scrivo: ogni persona che incontro per me è l’occasione di un romanzo. Questo libro poi nasce dal braccio di ferro tra la mia esperienza della maternità e un dolore intimo e profondo che ho vissuto, di cui io non sono brava a parlare se non scrivendo. In tutti i miei libri c’è un rapporto abbastanza reciproco: vivere mi aiuta a scrivere quello che scrivo, ma poi quello che scrivo è un aiuto a capire e interpretare quello che vivo.