Il segno dei tempi: con un apposito comunicato stampa, la Mattel informa che l’ex fidanzato di Barbie, Ken, ha arricchito il proprio guardaroba con un nuovo vestito: la mise da chef. Tornato single, il bambolotto deve darsi da fare per sedurre; e cosa c’è di più seducente degli chef, glorificati dai giornali, invitati in televisione, vezzeggiati dalle celebrità, rock-star senza droga, uomini che per conquistare una donna anziché farle una schitarrata le preparano seducenti mangiarini? Le luci della ribalta comportano ovviamente che l’immagine sia adeguata, e che quindi il cuoco nobilitato (lo chef, appunto, ché in italiano manca la parola) non sia un orco panciuto, unto, con le varici, bensì un signore “di presenza”, in linea se non in forma, preferibilmente con la lingua sciolta e un caratterino pepato da primadonna. Insomma, un tipo televisivo riverito senza imbarazzi dai politici e dai potenti, e in grado di tenergli testa.
Bene: per evitare che la nostra gioventù si faccia l’idea che la vita da chef sia un nuovo bengodi, a metà tra il campione di calcio e Costantino Vitigliano, proviamo a raccontare come si svolge la giornata di uno chef sulla cresta dell’onda: Davide Oldani, faccia e fisico da surfista (alcuni però gli danno dell’Emanuele Filiberto), trentottenne griffato (scarpe Prada, cintura Gucci, camicia Burberry…), inventore di una nuova formula ristorantizia. Mentre tutti gli chef famosi tendono a possedere o quantomeno a lavorare in ristoranti lussuosi, Oldani ha scelto una trattoria con una trentina di posti, prezzi bassi (menu dagli 11,50 ai 32 euro), e una cucina ricercatissima ma a base di creste di gallo e “attributi del toro” anziché di foie gras e astici: divulgazione dell’alta cucina resa accessibile a gourmet di ogni tasca. Il suo ristorante, il D’O di Cornaredo – sobborghi di Milano in direzione della nuova Fiera – è sempre pieno, e per cenarvi bisogna prenotare con mesi d’anticipo.
Ma Oldani, prima di raggiungere questo obiettivo (il D’O è aperto dall’ottobre 2003, e dopo un anno aveva già una stella Michelin), ha passato anni “di studi matti e disperatissimi”. Ricorda con orgoglio l’anno di apprendistato a Londra, nell’allora tristellato Le Gavroche: iniziava a lavorare la mattina alle sette e mezza e terminava a mezzanotte, con una sola ora d’aria nel pomeriggio. Gli altri ragazzi resistevano al massimo tre mesi, lui durò un anno. Poi andò per un altro anno a Montecarlo, da Alain Ducasse, con ritmi più mediterranei. Infine, come molti chef famosi della nuova guardia, ha lavorato a lungo con Gualtiero Marchesi.
Ora Oldani è padrone di se stesso: sei giorni alla settimana va al D’O dalle nove fino alle due mezza; libero nel pomeriggio (a meno di non doversi occupare di banche e commercialisti), riprende servizio dalle sette e mezza fino a mezzanotte. Orari non proprio terribili, ma poco socializzanti: difficile infatti trovare qualcuno disposto a tenergli compagnia nel pomeriggio, come fosse un bambino delle elementari. Quando gran parte dell’umanità è libera, cuochi e camerieri lavorano. Ma della vita e delle cucine dei ristoranti si sa molto: cosa fa invece uno chef nel – poco – tempo libero? L’abbiamo chiesto a Oldani, e anzi siamo andati a casa sua, una villetta bifamigliare vicino al D’O e condivisa coi genitori. I suoi pomeriggi sono solitari: la moglie si occupa di un’azienda di pressofusione meccanica a Parma, e torna a casa solo nel fine settimana. Lui va in piscina (ideale per il mal di schiena di cui soffre), pranza in casa, dormicchia. Nel salotto ordinatissimo, tra ninnoli Swarovski, tazzine e pupazzi di pelouche, ci sono una biblioteca enciclopedica (ossia una serie di volumi rilegati in pelle rossa: Grande dizionario enciclopedico e La letteratura italiana – Storia e testi) e un paio di tascabili: Tutti i cibi dalla a alla z e Guida a un’alimentazione sana e corretta. Nello studiolo invece abbondano i libri di cucina (perlopiù francesi, ma ci sono anche il Carnacina e un Marchesi; assenti i classici Cucchiaio d’argento e Talismano della felicità). Soprattutto c’è uno scatolone che, come una sorta di diario, contiene i menu dei locali dove Oldani ha lavorato, compreso il ristorante Giannino di Milano, dove fu chef per tre anni. Ma com’è la sua cucina? Vuota o straripante? E’ ordinatissima e abbastanza ricca: elettrodomestici di ogni genere, coltelli dappertutto, frigo e frezeer pieni di piccoli pacchetti ordinati: “E’ Manuela, mia moglie, prepara il ragu e la foccaccia e li mette via”. Ci sono ben 18 uova (è sempre la moglie, che prepara tagliatelle e lasagne nel week end), tre vaschette di carpaccio del supermercato (è il pasto di Oldani, che in questi giorni è a dieta), 2 banane annerite (“non posso mangiarle perché sono troppo zuccherine”), una gran quantità di formaggio grattuggiato sottovuoto (sempre della moglie), e soprattutto riso, peperoncino, farina per polenta, frutta secca e aceto (tornata a casa, li ho messi in frigo anch’io, copiando). Di solito non beve vino, ma in fresco ci sono saten Franciacorta e lambrusco. Cosa cucinerebbe, a me e al fotografo, se non avessimo già mangiato a casa nostra? “Pasta aglio olio e peperoncino, oppure risotto allo zafferano”, risponde senza pensarci un momento. E’ quello che mangerebbe lui, se non fosse a dieta.
Spesso ci si chiede come mai ci siano poche donne tra i grandi chef, e ce ne siano invece molte nelle cucine delle trattorie a conduzione familiare. La risposta pare evidente: non è tanto una questione di fatica fisica (certe pentole sono pesantissime), né un problema di inadeguatezza del palato, come in passato molti chef maschi hanno sostenuto. E’ che l’apprendistato richiede una vita nomade e solitaria, e le donne sono spesso legate alla famiglia. Inoltre, quando diventa chef, è difficile che una donna trovi un moglio paziente che non discuta i suoi orari, e che prepari tagliatelle e lasagne per il coniuge buongustaio ma stremato dal cucinare.