Camilla Baresani

Sommario

DAVIDE OLDANI e la ”cucina pop”

- Magazine - Corriere della Sera - Interviste

Davide Oldani, dopo aver lavorato presso i più celebri cuochi (Marchesi, Roux, Ducasse, Hermé) ha aperto nel 2003 un suo ristorante, il D’O, a Cornaredo, a pochi chilometri da Milano. Da allora il successo suo e del D’O sono stati travolgenti. Diversi anni prima della Grande Crisi, Oldani ha inventato una formula che salda tecniche e competenze di alta cucina a prezzi popolari, anche grazie all’utilizzo e alla riscoperta di materie prime stagionali e del territorio. Al D’O ci sono menu degustazione da 11,50 e da 32 euro. I prezzi alla carta consentono comunque di fare un pasto completo entro i 40 euro. Davide Oldani è autore di La mia cucina pop (Rizzoli, 2009, € 16).

Camilla Baresani, scrittrice e collaboratrice del Magazine, è un’appassionata di ristoranti (ne scrive per l’inserto Domenica del Sole 24ore). Con Allan Bay ha pubblicato La cena delle meraviglie (Feltrinelli).
Davide e Camilla parleranno di “Il pop è servito” durante la sesta edizione del Festival della Mente di Sarzana (dal 4 al 6 settembre 2009). L’appuntamento è per domenica 6 settembre, alle ore 11,30.
Il dialogo che segue è un’anticipazione di quello che si svolgerà davanti al pubblico del Festival della Mente.
Camilla: Come sa ogni appassionato di cucina, mangiare bene non è solo questione di buone ricette. A monte di quello che troviamo nel piatto, ci sono la qualità e la scelta delle materie prime, proprio come nel calcio non bastano gli schemi di gioco se i calciatori sono brocchi. E non è tutto: ci vuole anche una strategia, un pensiero elaborato e perseguito. La personalità e l’inventiva dell’allenatore.
La metafora calcistica mi serve a spiegare il lavoro di Davide Oldani: non è solo un esecutore di ricette apprese frequentando i grandi chef presso cui ha lavorato, non è solo un cuoco che sa scegliere ingredienti di qualità e che in cucina ha selezionato una fedele e affiatata squadra di alto livello, è anzitutto uno stratega. E la sua strategia l’ha denominata “Cucina Pop”.
Davide: Un giorno mi sono svegliato e ho avuto un’intuizione: la cucina pop è l’arte di caramellare i sogni… Naturalmente non è andata esattamente così: oltre alle intuizioni, infatti, occorrono impegno ed esperienza. Dopo quindici anni passati lavorando per altri, ho deciso di aprire un mio ristorante e questo mi ha costretto a fare delle riflessioni. Cos’è il mio mestiere? E’ solo trovare un equilibrio tra sperimentazione e rivisitazione? Non basta: bisogna fare anche delle riflessioni sul mercato. E allora: è meglio rivolgersi a una ristretta cerchia di intenditori che possono permettersi pasti costosi o è più interessante e innovativa la sfida della divulgazione? Ho scelto di dare il meglio a più persone possibile, ovvero di fare una “Cucina Pop”. Pop nel senso di popolare, per i prezzi ma anche per gli ingredienti: uso solo materie prime di stagione, e al D’O non troverete mai filetto, scamponi o aragoste, caviale, grattate di tartufo, spigole. Io cucino piatti a base di alimenti “poco nobili” come lingua, trippa di pesce, animelle, lonza di maiale, ricci, broccoli, zucca, cardi, barba di frate, asparagina.
Camilla: Più che pop, la tua idea di cucina mi sembra chic, e ora ti spiego perché. Intanto per mangiare da te bisogna andare a Cornaredo (a 15 km da Milano), e, a parte gli happy few del luogo, che possono raggiungerti anche in bicicletta, a Cornaredo non si arriva col tram. Poi bisogna prenotare mesi prima: è un lusso, prevede che uno abbia una vita molto stabile e senza imprevisti. Ma soprattutto: cosa c’è di più cafone del pasto da oligarca, caviale, champagne, spigole, astici, porcini e tartufo? E’ infinitamente più chic il tuo “latte cagliato, caviale D’O, salsa di paprica dolce e anice”. L’ho assaggiato, era squisito. Ho guardato la ricetta: è laboriosa, inventiva e piuttosto difficile. Il caviale lo ottieni con tapioca, nero di seppia e olio; gli ingredienti sono tanti e in dosi infinitesimali: finocchio, sedano rapa, caglio, zenzero… E la tua ricetta con testicoli di toro? E le rane? Tutte cose difficili da trovare. Al supermercato posso comprare tonnellate di filetto, ma le lumache non le ho mai viste. Penso che il tuo understatement sia una sciccheria che in pochi si possono permettere.
Davide: Il tuo punto di vista mi diverte, ma ti posso garantire che la mia cucina è veramente pop. Lo è anche perché il ristorante è sempre completo, e, pur mantenendo i prezzi bassi, posso permettermi di avere un rapporto cliente/personale di uno a sei: creare posti di lavoro è pop. E’ pop anche la scelta di aprire un ristorante a Cornaredo, dopo aver lavorato a Milano, a Londra, a Montecarlo, a Parigi, a Tokio. Per me Cornaredo è un ritorno alle origini, alla mia famiglia, a una comunità in cui sono cresciuto e che ho abbandonato da ragazzo quando ho iniziato a lavorare in giro per il mondo. Pop è anche la stagionalità degli ingredienti: i miei prezzi sono bassi perché creo accostamenti originali, lavoro gli ingredienti in modo innovativo, sano e leggero, ma uso solo prodotti che non costano molto perché sono nel momento della massima offerta sul mercato.
Camilla: Con le ovvie differenze, la tua idea di cucina pop legata alla stagionalità mi fa ricordare uno dei miei romanzi preferiti, Le illusioni perdute di Balzac. Lì c’è la descrizione del ristorante Flicoteaux, frequentato da parigini squattrinati. Siamo nella prima metà dell’800: “Là ogni cosa è in rapporto con le vicissitudini dell’agricoltura e i capricci delle stagioni francesi. Vi si apprendono cose di cui i ricchi, gli oziosi, gli indifferenti alle fasi della natura non sospettano nemmeno l’esistenza. Lo studente che vive nel quartiere latino vi acquista la più esatta conoscenza del tempo, sa quando i fagioli e i piselli hanno una buona annata, quando sul mercato c’è dovizia di cavoli, quale specie di insalata vi abbonda e se la barbabietola è andata male. Una vecchia calunnia consisteva nell’attribuire l’apparizione delle bistecche a qualche moria di cavalli”.
Davide: Ecco, a parte la moria di cavalli, al D’O rispettiamo questi canoni della cucina popolare, sommata però a quella creatività e a quella innovazione che un tempo erano praticabili solo nell’alta ristorazione. Pop è un nuovo modo di fare cucina. Dopo la Nouvelle Cuisine, movimento iniziato da Bocuse, dopo la Cucina Destrutturata, lanciata da Adrià, vorrei essere ricordato come l’ideatore della Cucina Pop. Un termine ideale: internazionale, veloce, moderno perché ha senso anche a livello gestionale, oltre che culinario.
Camilla: Un’ultima cosa. I gusti che il nostro palato distingue sono il dolce, l’amaro, il salato, l’acido. Ce n’è uno più pop degli altri?
Davide: Il dolce. Accarezza il palato. Quando sei bambino mangi zucchero e sorridi. Gran parte degli esseri umani si ciberebbe solo di dolci e gelato. Nei miei piatti c’è quasi sempre una vena zuccherina e, se non sapessi cucinare, mangerei soprattutto gelato di stracciatella: profuma di latte, c’è l’amaro del cioccolato e la nota croccante.
Camilla: Adesso che mi ci fai pensare, oltre a “love” e “baby”, la parola più ricorrente nel pop canzonettistico dev’essere proprio “sweet”. Mi hai convinto: la tua è vera Cucina Pop.