Sul rever della giacca ha un distintivo dall’aria vagamente maoista, per via del color rosso vivo con palline oro in rilievo. Ma è un’onorificenza, riservata al manipolo di uomini che ha contribuito a determinare il genoma del lievito, le cui tetradi sono rappresentate dalle palline. Di sicuro, girando con quel distintivo sulla giacca, rischia di trovarne pochi che pensino “Ecco, uno come me”, come invece capiterebbe con la spilletta del Lions o del Rotary.
Chiedo a Edoardo Boncinelli, uno dei nostri rarissimi scienziati in odor di Nobel, di cosa vada maggiormente fiero. Poiché siamo tutti cresciuti col mito dello “scienziato pazzo”, cioè di qualcuno che unisca alla genialità una buona dose di stramberia, mi aspetto che dica “dei quadri che dipingo”, o “dei miei due figli” come una casalinga qualsiasi, o addirittura “del mio cane”. Invece ci pensa un attimo (“Bella domanda! Non me l’hanno mai chiesto…” – ma sarà vero?), e a colpo sicuro mi dice: “ Natale ’87. La scoperta dell’organizzazione dei geni della famiglia HOX”. In pratica i geni umani omologhi a quelli dei moscerini della frutta. In seguito a questa scoperta, abbiamo saputo di intrattenere una stretta parentela non più solo con scimpanzè e bonobo, ma addirittura con i moscerini. Poi, però, rettifica il tiro: “Ma adesso sto dedicandomi a riflettere sulla natura dell’uomo e sulla sua coscienza. Non da filosofo: da pensatore, e può darsi che questa mia nuova attività mi porti a qualcosa di importante. Forse ciò di cui devo essere maggiormente fiero non è ancora accaduto”.
La conversazione si svolge nell’appartamento di Boncinelli, tra i suoi quadri naives che ricordano un po’ quelli di Margherita Agnelli; col cane – “la persona più simpatica della casa” – che gratta alla porta per partecipare a questo incontro da cui è stato escluso. Siamo a Milano, dove Boncinelli abita dal ’91 dopo aver vissuto a Firenze, Napoli (che gli ha lasciato una vaga cadenza dialettale) e Trieste, andando dove lo portavano gli studi. Attualmente, dopo trentun anni di CNR, è titolare della cattedra di Biologia e Genetica all’Università Vita-Salute, e passa gran parte del tempo in viaggio, o tenendo conferenze e lezioni. I viaggi favoriscono tra l’altro lo sfogo di alcune sue passioni. Per esempio guardare la tivù: “Appena arrivo in albergo, in qualsiasi parte del mondo, accendo la televisione”. Oppure dedicarsi allo shopping: “Sono uno spendaccione, però mai nella mia città. Borse, scarpe, maglioni, vestiti, libri, elettronica e cravatte. Di cravatte ne avrò almeno cinquecento, e tutte le borse di mia moglie le ho comprate io; altrettanto dicasi per i maglioni dei mie figli”. Per la cronaca, Boncinelli ha un fratello sessuologo, due figli laureati – uno in architettura e l’altro in psicologia -, e una moglie psicoterapeuta (“che ho sposato tardi, ragion per cui siamo ancora insieme. Una tempo gli scienziati si sposavano a diciott’anni, e gli toccava cambiare almeno due o tre mogli”. E non è tutto: “Le mogli degli scienziati di solito sono brutte, ma la mia no, non lo sopporterei. Ce ne sono certe che a vederle mi cascano le braccia.”).
Tra le tante cose cui si è dedicato (persino dipingere maioliche) c’è stata la psiche: per circa vent’anni è stato anche psicoanalista. Un fisico e biologo che crede nell’Io e Super-Io? “La psicanalisi – mi dice – non è una scienza nella maniera più assoluta. E’ una prassi che ha una certa efficacia, ma il bagaglio teorico è assolutamente inesistente: in pratica l’analista è un po’ quello che una volta era il confessore. Ho avuto grandi soddisfazioni con i miei pazienti, pur senza mai credere a inconscio, complesso di Edipo e sciocchezze varie. E ai pazienti che ritenevo in grado di sopportare lo shock lo dicevo anche. Con Aldo Carotenuto, che fu il mio analista e che è morto lo scorso anno, facevamo litigate violentissime. Perché lui credeva a queste baggianate, culturalmente interessanti ma che di scientifico non hanno manco un’unghia. Però Carotenuto era comunque un grande mitopoieta, non certo un ciarlatano”. Come dovrebbe curarsi un depresso? m’informo: “La cura ideale è la combinazione di farmaci e psicoterapia – non psicoanalisi. Del resto parlare fa bene, è ovvio. Il problema è che tutti parliamo ma non ci diciamo mai niente”.
Il riferimento alla confessione mi permette di chiedergli se sia credente: “Non sono mai stato religioso, ma nemmeno insofferente ai religiosi, come invece comincia a capitarmi da qualche anno”. Cos’è successo?, gli chiedo: “ Forse è perché li vedo tutti i giorni in televisione”.
E cosa pensa della felicità, che la religione o le pillole dovrebbero aiutarci a conquistare, se non altro a sprazzi?: “E’ un tema che mi interessa molto: solo che in Italia già ‘profitto’ è una parola sporca, figuriamoci ‘felicità’. Uno dei problemi di questo paese è il puritanesimo”.
Boncinelli è sornione: pare un’acqua cheta ma le sue risposte sono misurate, concise, taglienti, e sempre chiarissime. Si finisce per invidiare i suoi studenti. Già che ci sono ne approfitto per chiedergli qualche informazione pratica. Gli obiettivi che si prefigge implicano una grande tensione: mi piacerebbe sapere che tipo di vita fa per riuscire a reggerla. “Per anni ho dormito non più di cinque ore per notte. Del resto, chi ha da fare non dorme”. E la concentrazione? “Devo cambiare spesso attività, e soprattutto ho bisogno che non ci sia silenzio. Scrivo e penso in treno, mentre la gente litiga, o con la tivù e lo stereo accesi”.
Memore di una sua dichiarazione sull’inevitabile prolungamento della vita grazie al progresso scientifico, gli chiedo fino a che età vorrebbe vivere: “Ottant’anni mi basterebbero. Tra l’altro, checché se ne dica, gli intellettuali vivono più a lungo degli sportivi. Adoperare il cervello serve e fa bene: cardinali, filosofi e scrittori passano la vita a lamentarsi, ma poi durano più degli altri”.
Prima di congedarmi gli chiedo, con un po’ di imbarazzo, se si aspetti il premio Nobel: “Non ci credo, ma non è escluso. Il problema è che siamo in parecchi ad aver studiato lo stesso argomento… Ma se arrivasse mi cambierebbe la vita, lo status: potrei esprimermi con molta più autorevolezza sul chiacchiericcio dei tanti che parlano a vanvera. Prima del Nobel, per esempio, sulla Levi Montalcini sentivo esprimere giudizi pesantissimi: cessati completamente dopo il premio”. Ne deduco che in campo scientifico non succeda la stessa cosa che in campo letterario: basta pensare al Nobel a Dario Fo, che lo ha sì innalzato, ma anche esposto a parodie e lazzi