Entrando nello studio di Enrico Semprini, ginecologo e immunologo riproduttivo, lo sguardo è catturato dalla catasta di doni ancora impacchettati, alcuni con scritte rivelatorie (“confezioni di vini e balocchi” dice), altri più misteriosi. E’ la gratitudine delle donne, soprattutto le meridionali: “Pagano una parcella, ma credono che non sia sufficiente, e allora investono cifre anche cospicue nei regali. Sono stato costretto a dire che accetto solo cibi artigianali, ma anche questo non è bastato”, mi spiega Semprini. Oltre ai risultati ottenuti risolvendo casi di pazienti “con problemi di fertilità complessi”, il ginecologo deve la sua fama alla scoperta, nel ’92 (quando aveva 37 anni), di un metodo che permette agli uomini con infezione HIV di avere figli sani. La messa a punto di questa tecnica, che isola gli spermatozoi non infetti, e che ora è adottata in tutto il mondo, gli è valsa l’incarico di ricercatore onorario presso l’University College di Londra.
Abbiamo chiesto a Semprini un’opinione sulle dichiarazioni di Severino Antinori, il “ginecologo delle mamme-nonne” (come lo ha definito Aldo Cazzullo): Antinori, che si è battuto contro la Legge 40, ha raccontato di avere “inventato una tecnica di clonazione terapeutica” e di lavorare ormai soprattutto in Ucraina, paese dove esiste “una cultura della donazione” e dove le donne italiane non fertili trovano “milioni di cellule-uova” pronte ad aspettarle.
Dopo la Spagna e l’Inghilterra, il nuovo approdo della ricerca italiana e di tante mancate mamme è nelle cliniche dei paesi dell’Est?
Ogni medico ha un proprio stile di comunicazione. Quando con il mio staff abbiamo fatto nascere il primo bambino col metodo di separazione degli spermatozoi, prima di comunicarlo alla comunità scientifica internazionale – tramite la rivista Lancet – abbiamo aspettato che avesse compiuto tre anni e che fosse sicuramente sano. Nel raccontare un dato scientifico si dovrebbe enunciare con chiarezza cosa si è trovato, e discutere criticamente e in modo spietato i pregi e difetti dei risultati ottenuti. Antinori è figlio di una medicina mediterranea: le foto dei vip sulla parete dello studio, come nei ristoranti, il continuo citare nomi di politici e mai dati scientifici, una certa esuberanza comunicativa… A leggere le sue dichiarazioni verrebbe da chiedersi come mai non gli abbiano dato il Nobel, ma poi se va a fare una ricerca nella library del sito Pubmed, dove sono riportate le pubblicazioni scientifiche di qualsiasi ricercatore e studioso, vedrà che alla voce “Antinori” c’è ben poco.
Vuole dire che ha delle perplessità sulla “clonazione terapeutica” e sul bengodi dell’Ucraina e delle sue donatrici?
In Ucraina io non ci andrei per tre ordini di motivi. Anzitutto c’è un problema etico: vorrei delle garanzie su come sia stato chiesto a queste donne il consenso sul programma di donazione di ovuli. Il dubbio è che in paesi così poveri l’ovulo sia l’unica cosa che resti da vendere a una donna bisognosa. Inoltre mi chiedo quanto siano seguite le donatrici dopo l’espianto. E se avessero delle complicazioni successive al prelievo? Siamo sicuri che venga loro garantita un’assistenza sanitaria e psicologica adeguata, come succede per esempio in Spagna? Poi ho una perplessità di tipo medico che riguarda il bassissimo livello delle strutture sanitarie in regioni così economicamente disagiate. Inoltre c’è un problema infettivo: a differenza della donazione seminale che permette il congelamento del seme, che sei mesi dopo viene analizzato, la donazione dell’ovulo avviene “a fresco” e la donatrice non può essere controllata. Che tipo di studi vengono fatti sulla storia delle donatrici, soprattutto nei paesi dell’Est dove dilaga l’infezione da HIV? Emerge chiaramente la necessità di regole che tutelino sia le donatrici sia le riceventi.
Già che parliamo di norme, cosa pensa della Legge 40?
E’ evidentemente una legge ingiusta, antistorica e antiscientifica. Questo è un paese dove è ormai difficile nascere e morire, dove non si tengono in considerazione i diritti fondamentali dell’individuo. L’argomento della creazione della vita, creazione che in alcuni casi (per esempio quella in vitro) si ottiene solo grazie all’intervento di un medico, è qualcosa con cui l’umanità si confronta da appena venticinque anni, contro secoli di riproduzione naturale. Quindi i problemi di comprensione e valutazione che ci sono in alcuni paesi si possono comprendere, ma non devono diventare pregiudizi: non si può chiedere a una coppia di aspettare cento milioni di anni per fare un figlio, no? La realtà è che alla legge sulla procreazione assistita nessuno ha voluto bene: sarebbe stato importante che passasse un contenuto informativo corretto, senza che certe esuberanze comunicative, come quelle di Antinori, potessero suscitare forme di risposta molto viscerale, creando una barriera comunicativa tra chi ha visioni differenti, tra i laici e la Chiesa. In casi come questo una comunicazione cristallina e non d’effetto evita di produrre posizioni di sbarramento come è invece successo in Italia.
La sua mi sembra una posizione simile a quella di Umberto Veronesi.
Veronesi è un medico straordinario perché è riuscito a coniugare ricerca scientifica e forza comunicativa, provocando un coinvolgimento “forzato” in chi decide. E’ difficile per i politici dire di no a un gigante della medicina come Veronesi, un uomo che si proietta nel futuro. Pensi solo che grazie a lui, dove un tempo c’era un campo spelacchiato oggi c’è l’Istituto Oncologico Europeo, un centro in cui i pazienti vengono curati con attenzione un livello di assistenza straordinaria.
Se le capita una paziente di 60 anni che vuole un figlio cosa le dice?
La sconsiglio. Trovo che il limite considerato dagli istituti di riproduzione spagnoli – poco più di 50 anni – tenga in giusta considerazione le barriere gestazionali e la necessità che ha un bambino di crescere per almeno dieci anni con una mamma pienamente attiva. Interpretare e assecondare la natura è una cosa, stravolgerla è un’altra.
E cosa fa invece se la donna che non riesce a ottenere una gravidanza è nel limite dei 52-53 anni?
Faccio quello che mi consente la legge: se il problema della donna è quello di ovaie non più attive e ha bisogno di una fertilizzazione extracorporea, la informo sulle caratteristiche dell’ovodonazione, ad esempio sul fatto che comporta una piccola perdita di identità genetica, inferiore all’uno per cento. Poi, se è il caso, le consiglio un centro clinico cui rivolgersi, in Spagna o in Inghilterra. Con la fatica e i costi fisici che sostiene una donna infertile che vuole un bambino, e in un mondo occidentale così invecchiato, abbiamo una legge che sembra voler dire alle donne: “Perché vuole un bambino se non le viene?”. Nella Legge 40 e nella posizione di chi l’ha sostenuta manca sostanzialmente un rispetto per le decisioni dei singoli individui.
Un’ultima domanda: abbiamo letto di recente che sono state trovate cellule staminali anche nel liquido amniotico. Significa che il problema della ricerca e della conservazione del sangue ombelicale, entrambi vietati in Italia, è superato?
Come ostetrico vorrei sottolineare la straordinaria leggerezza comunicativa con cui la notizia è stata riportata. Nessun giornale ha scritto che ogni 150 amniocentesi muore un feto, e che quindi l’entusiasmo scientifico deve essere temperato dal buon senso clinico e dal rispetto per la vita fetale.
Io continuo a informare e consigliare alle mie pazienti di rivolgersi alle strutture estere che conservano i cordoni ombelicali. Anche se la possibilità di utilizzarli nella cura di qualche malattia è per il momento solo una su 10.000, dal punto di vista medico è comunque un’incidenza elevata. Una volta nascere con la camicia, cioè avvolti dalle proprie membrane senza più liquido amniotico, voleva dire che il bambino aveva un organismo molto resistente. Oggi nascere con il proprio cordone congelato può essere un evento altrettanto benaugurale.