Camilla Baresani

Sommario

FRANCESCO MICHELI E SILVIA AYMONINOper Roméo et Juliette di Gounod

- - Interviste

Nei secoli sono certo cambiate molte cose, ma i colpi di fulmine e gli amori infelici hanno continuato a far parte della nostra esistenza e si stenta a credere che possa esistere qualcuno che non ci è mai passato. Ecco perché continuiamo ad appassionarci all’eterna vicenda di Romeo e Giulietta, e alle sue infinite rielaborazioni. Una storia che circolava sin dai tempi della Grecia classica e che raggiunse una forma molto simile a quella che conosciamo con Matteo Bandello, che la inserì nel suo libro di novelle del 1554. Da lì, in pochi anni, arrivò a Shakespeare, che la consegnò alla storia della letteratura creando la tragicommedia di cui praticamente ogni occidentale ha perlomeno sentito parlare, e che da allora è divenuta lo standard su cui infiniti artisti di varie discipline si sono esercitati: gli adolescenti Romeo e Giulietta, i Montecchi e i Capuleti, le bande di ragazzi contrapposte, il destino beffardo, Verona, le sue piazze e il celebre balcone. Sulla traccia del testo shakespeariano, a fine Ottocento, Charles Gounod ha creato un’opera in cinque atti con libretto di Jules Barbier e Michel Carné. E’ il melodramma dell’amore irrealizzabile ma anche quello della città di Verona.

In questi giorni, il Festival lirico dell’Arena compie cento anni dalla prima rappresentazione, un’Aida andata in scena il 10 agosto 1913 per celebrare a sua volta il centenario della nascita di Giuseppe Verdi. L’Arena, il più grande teatro lirico all’aperto del mondo, è particolarmente adatta a rappresentazioni spettacolari quali il Nabucco, l’Aida e appunto l’opera veronese per eccellenza, il Roméo et Juliette di Gounod, che verrà rappresentato il 31 agosto con le repliche del 4 e 7 settembre. L’edizione è quella spettacolare già andata in scena negli scorsi due anni, con regia di Francesco Micheli, scene di Edoardo Sanchi e costumi di Silvia Aymonino. Un kolossal di due ore e mezza, con un’ imponente massa corale che dà vita ai due gruppi di contendenti, con scene grandiose che coinvolgono mimi, comparse e ballerini, e con il doppio duello tra Mercuzio (l’amico di Romeo) e Tebaldo (il cugino testa-calda di Giulietta) e tra Romeo e Tebaldo, che finisce per coinvolgere l’intera città.

L’idea di Micheli è far avvicinare alla rappresentazione dell’opera di Gounod anche i ragazzi che frequentano l’Arena per spettacoli di musica pop e che conoscono la città per la storia d’amore degli infelici amanti: “Verona è oggettivamente la capitale mondiale dell’amore, il santuario laico, meta di frotte di adolescenti che vengono a celebrarlo. Nel Roméo et Juliette ho cercato una forma di rappresentazione che li avvicinasse alla lirica. Abbiamo pensato di creare uno spettacolo che abbia la qualità e la tradizione della grande opera lirica unite all’energia e al tipo di illuminazione da stadio tipica dei concerti rock. Sul palco dell’Arena abbiamo ricostruito il Globe shakespeariano, un teatro dentro il teatro, e durante tutta l’opera si fronteggiano macchinari bellici che emettono ferro e fuoco”.

164 coristi, 35 ballerini, 2 mimi, 125 comparse, 12 interpreti: è un numero di organici imponente quanto quello dell’Aida. Le dimensioni del cast, unite alle trovate sceniche, così fantasiose ed evocative, fanno venire in mente la spettacolarità del Cirque de Soleil. Dice ancora Micheli: “Siamo riusciti a dare spazio a un immaginario onirico che è contemporaneamente degno della sontuosità della grande opera del passato e dei fasti di certi kolossal à la Tim Burton. Volevamo connettere la gioventù veronese dell’epoca con quella contemporanea, e per farlo abbiamo contaminato la lirica con altre forme di spettacolo, rivitalizzandola. Amo l’opera lirica proprio perché è una casa molto accogliente per giovani e vecchi, impegnati e disimpegnati. A maggior ragione lo è l’Arena, con la sua forma ellittica e i suoi 13.500 spettatori, che ti permette di assistere contemporaneamente a due spettacoli: l’opera e il suo pubblico”.

La costumista Silvia Aymonino ha contribuito a creare l’atmosfera di sontuosa, straniante atemporalità. La scena del matrimonio di Paride e Giulietta, sembra una scena di guerra più che una processione nuziale, tra evocazione del Rinascimento e matrice punk-metal. Il culmine è l’abito da sposa della povera Giulietta, una grande gonna di metallo traforato che fa pensare a una cintura di castità. Dice la Aymonino: “Volevo che il pubblico provasse una sensazione di disorientamento temporale: i costumi devono sembrare storici, ma quando vengono illuminati si può notare che sono fatti di materiali moderni. Per esempio il coro ha pantaloni di pelle di tipo medievale, mentre mimi, comparse e ballerini indossano pantaloni da motociclista. Alcune corazze medievali hanno le maniche con i colori di Valentino Rossi, e per i colli traforati e piumati mi sono ispirata a vari tipi di uccelli. Giulietta è una colomba, i maschi sono invece dei rapaci. Il pubblico deve sentire che è spettatore di una storia di sempre, per sempre, trasversale nei secoli”