Camilla Baresani

Sommario

LELLA RAVASI BELLOCCHIO e VIOLETTA BELLOCCHIO – Dal femminismo al velinismo

- Io Donna - Corriere della Sera - Interviste

Una mamma e una figlia. Dal mio punto di vista, la cosa più bella che ci sia, la formazione più solida e resistente agli urti prodotti dalla natura. I lineamenti dell’una che si sciolgono e stemperano in quelli dell’altra. E l’insieme di sollecitudini, fastidi, pentimenti e tenerezze sconfinate che le lega. Lella Ravasi Bellocchio, analista junghiana e autrice di saggi, tra cuiDi madre in figlia: “Io riesco a scrivere solo di cose che conosco, storie analitiche che partono da un’oggettività di conoscenza, però ammiro il processo creativo di chi riesce ad andare oltre il memoir e a trovare dentro di sé dei personaggi da far parlare. Come fa mia figlia”. La figlia, Violetta Bellocchio, scrittrice di narrativa (Sono io che me ne vado è il suo romanzo pubblicato due anni fa), brillante blogger ed esperta di linguaggi televisivi.

Una madre e una figlia: due generazioni e due modi di valutare la posizione della donna nella società. Quando è nata Violetta, nel 1977, i temi del femminismo erano molto discussi. In seguito, mentre lei cresceva, altri temi sono diventati più pressanti: il razzismo, il multiculturalismo, la globalizzazione… Ma negli ultimi tempi, inaspettatamente, il tema della condizione femminile è tornato in evidenza. Manifestazioni, prese di posizione, inattese sguaiatezze maschili.

Cosa sta succedendo alle donne? C’è di nuovo bisogno di un femminismo combattivo?

Violetta: Sono cresciuta in un paese in cui diverse conquiste sociali (dal divorzio all’aborto) erano state già ottenute. Così per molto tempo non ho percepito come fondamentale il tema della discriminazione femminile. Mi limitavo a considerarmi “postgender” (oltre i generi maschile/femminile ndr) e a valutare le persone solo per la loro identità personale e i loro gusti. Poi, all’improvviso, si è acceso uno stato d’animo collettivo che mi ha coinvolta e spinta a rimettere in discussione tutto quello che fin lì mi era parso assodato. Faccio un esempio: per me è stata una mazzata entrare nella questione Wikileaks, nelle accuse di abuso sessuale a Julian Assange. Per una settimana avevo meccanicamente accettato la tesi che l’avvocato di Assange voleva far passare tramite i giornali. Cioè che le accuse mosse al suo assistito fossero solo un modo per censurare Wikileaks. Quando poi – e c’è voluto qualche giorno – mi è venuta la curiosità di leggere le dichiarazioni delle due ragazze che l’hanno denunciato, mi sono resa conto che ero stata troppo pronta ad accettare la versione corrente. Tuttavia la soglia di sensibilità personale sulle questioni femminili è così diversa che è difficilissimo costruire una piattaforma comune, a parte affermazioni generiche come “non bisogna violentare” oppure “non bisogna uccidere”. Per me è difficile fare quadrato con persone del mio stesso sesso, perché non avverto un senso di appartenenza.

Lella: Qualcuno mi ha raccontato che sono state prodotte magliette per bambine con la scritta “Voglio fare la velina” e che le mamme le hanno comprate. Quindi la catena della perversione è lunga! Da un creativo che ha pensato di avere successo anziché con l’Ape Maia con l’inno al velinismo, alla famiglia che ne accetta il modello. La realtà e che oggi il feticismo e il narcisismo sono al centro della società, e questo ha a che fare con i nostri governanti. Governanti che hanno vellicato nella popolazione l’aspetto peggiore, che già c’era ma era nascosto: l’uso narcisistico di sé e il mondo esterno utilizzato come una protesi del proprio corpo.

Dobbiamo o no giudicarle diverse da noi, queste donne che aderiscono a un modello di vendita di sé? Come vedete questa “fiera della femminilità”: l’esibizionismo femminile imperante è una libera scelta o una forma di subalternità a un’ideale maschile di femminilità?

Violetta: Per me la cosa più importante è ricordarsi di non giudicare. In inglese c’è una definizione perfetta: slut-shining, additare la svergognata. E’ una cosa pericolosissima perché fa parte di molti sistemi retorici, una forma di piacere perverso da cui voglio assolutamente astenermi. Piuttosto la donna occidentale è molto coccolata e blandita nel momento in cui le devono vendere qualcosa, e questo fa parte delle normali strategie commerciali: stuzzicare bisogni latenti, o crearli ex novo.

Lella: A mia figlia ho trasmesso la possibilità di essere se stessa in relazione con gli altri, in modo rispettoso. Lei non è mai stata giudicata e ha rispetto per la differenza dell’altro. Questo ha anche a che fare con la sua attitudine di scrittrice: non sceglie e non giudica i personaggi narrativi che le si affacciano in testa. E lo stesso faccio io coi pazienti. Sia lei sia io finiamo per accogliere le persone o i personaggi. Però, a differenza di mia figlia, io ho orrore per il genere di donne che ritiene di “essere seduta sulla propria fortuna”. Sono state cresciute nel culto della vendita di sé, a partire da un’immagine televisiva da televendita, specifica degli ultimi vent’anni. Io vado nella direzione opposta, verso la scoperta del segreto di sé, la valorizzazione della libertà profonda di essere per sé, e non al servizio di qualcun altro. Per le donne, che sono sempre state asservite, è stato molto difficile conquistare il diritto alla propria dignità, e adesso cosa facciamo, lo molliamo subito? Abbiamo appena iniziato e già ce lo facciamo portare via?

C’è dunque qualcosa che bisogna fare, qualche questione da affrontare unite? Per esempio combattere per le quote rosa, o per diverse politiche famigliari?

Violetta: Non bisognerebbe essere tenute in cattività e protette. Sarebbe bello che non ce ne fosse bisogno. Però le quote rosa potrebbero essere un male necessario. Sulle politiche famigliari invece non so esprimermi, perché non ho figli. Ma la figura del mammo, dell’uomo in congedo dal lavoro che si occupa dei bambini mi diverte.

Lalla: Le quote rosa… No, meglio di no. Da una parte dici che le donne devono andare avanti, ma se glielo fai fare con strumenti maschili, che rosa è? Io sono per il merito: meglio un uomo che fa carriera perché è bravo. Invece le politiche famigliari sono assolutamente deficitarie. Mancano asili pubblici. Quanto al mammo: ciascuno faccia la sua parte. Mi va bene che gli uomini trovino la propria parte femminile, ma occorre che poi facciano i padri, figura di cui c’è un grande bisogno. Il mammo… guarda, c’è un’invidia dell’utero che nemmeno te la immagini! Altro che invidia del pene!