È stata la più giovane delle Miss Italia – ha vinto il titolo a soli sedici anni nel 1991 – ed è senza dubbio la più popolare. Chi non conosce Martina Colombari? La sua cifra è la normalità nel successo. Fotomodella, presentatrice, attrice, ha azzeccato anche le scelte sentimentali: per anni fidanzata con lo sciatore Alberto Tomba, si è poi sposata con Alessandro Costacurta, ex difensore del Milan, con cui ha un figlio dodicenne, Achille. Su di lei non circolano pettegolezzi né indiscrezioni piccanti. È molto bella, ma di un genere di bellezza contemporanea, perbene e grintosa al contempo, come una Virna Lisi modernizzata e superfit. Molti divi, consigliati dai propri agenti, sposano una causa e la usano per apparire buoni e bravi nelle interviste, senza che ci sia una vera partecipazione. Lei, dal 2008, è madrina della Fondazione Rava e ha compiuto ormai una decina di viaggi ad Haiti come volontaria e testimonial di progetti che riguardano i bambini di quel paese disastrato.
Ho parlato con Settimio Benedusi, il fotografo che l’ha accompagnata ad Haiti per tre volte, per testimoniare il suo lavoro con la Fondazione Rava. Era impressionato dalla sua capacità di dormire su un pavimento, di non lamentarsi e non fare la diva in quella situazione di miseria e violenza.
Bisogna dire che all’inizio è un’esperienza choccante: ad Haiti si muore letteralmente di fame. Sono esperienze di vita così forti che è difficile condividerle con chi non le ha vissute, è impossibile far capire quanto è brutta, cruda, dolorosa la povertà in cui vivono i settantamila sfollati dell’uragano Matthew, che dopo il terremoto e il colera ha cancellato persino le baracche e gli orti della gente più miserabile. Negli slum non c’è acqua corrente né elettricità.
Va spesso ad Haiti?
Vado circa due volte all’anno, sebbene adesso la situazione cominci a diventare molto pericolosa anche per noi volontari. Abbiamo creato un bellissimo centro di avviamento professionale, e poi abbiamo un nostro ospedale pediatrico, l’unico di tutti i Caraibi, che cura gratuitamente ottantamila bambini all’anno. Mi hanno appena comunicato che sta per aprire un ospedale di strada in uno slum abitato da centocinquantamila baraccati, il St. Maartin: è intitolato a me per il mio lavoro di madrina e testimonial. Quando l’ho saputo mi sono scesi due lacrimoni. E l’anno prossimo mi piacerebbe portare con me Achille, per qualche giorno.
Suo figlio risente dell’esposizione mediatica dei genitori?
Siamo stati molto bravi nel mantenere una gestione tranquilla e sobria della vita quotidiana perché io e mio marito veniamo da famiglie semplici, e vogliamo che Achille abbia la stessa educazione che è stata impartita a noi. Gli insegniamo a guadagnarsi le cose, a meritarsele.
Quali sono le principali difficoltà di crescere un figlio maschio oggi? Le principali preoccupazioni?
Mi preoccupano le uscite serali, le droghe, le bevute. I ragazzi sono curiosi e sono disposti a provare tutto. Questo mondo della notte in cui sto per entrare in quanto mamma – ormai manca poco – è una cosa che non ha fine e che mi porterà alla neuro! I miei sono stati bacchettoni, la mia vita era casa-scuola-danza, non uscivo la sera, non avevo il motorino, e nemmeno mi ribellavo. Ma con lui non sarà certo così.
È vero che i figli dividono più che unire?
Se io e Alessandro litighiamo, c’è sempre Achille di mezzo. Però va detto che poi, quando lo vediamo che dorme e gli chiudiamo la porta, finisce che io e mio marito ci guardiamo e pensiamo: “Siamo noi, siamo una famiglia”.
Quando si è sposata hai pensato “è per sempre” oppure “vediamo cosa succede”?
Do per scontato che sia per sempre: sono ancora molto innamorata, non vedo in giro nessuno per cui varrebbe la pena di avere distrazioni. Certo, dopo vent’anni che stiamo insieme ci sono delle insofferenze, ma sono le stesse che avevo all’inizio. Per esempio la puntualità esasperante di mio marito, e il suo avere sempre fretta: anche ieri sera, ho ordinato due piatti al ristorante e lui era impaziente, mi avrebbe riempita con l’imbuto per farmi finire prima. Ogni tanto la routine della vita di coppia porta a sbroccare.
Lei è gelosa?
Certo. Controllo il suo telefono, indago, “sono sul pezzo”, e cerco comunque sempre di conquistarlo: non è che perché sono nata bella tutto è semplice, fantastico. Di certo non lo aspetto a casa in pigiama e ciabatte. Non do niente per scontato e non mi piace pensare che potrebbe tradirmi con una più attenta e premurosa, che gli dà più cuore di me. Perciò mi capita di lasciargli messaggi d’amore scritti col rossetto sullo specchio, oppure gli faccio trovare un fiore nella valigia quando sta partendo…
Prima un campione dello sci, poi un campione del calcio. Gli sportivi sono migliori compagni e mariti?
È un puro caso, però io sono attratta da un bel fisico, che emana energia. Mi piace quel genere di uomo che quando entri in un posto senti la sua presenza. Uno che ha una stretta di mano forte, e che – come dicono i napoletani – ha cazzimma.
Chi ha il fisico più bello, Tomba o Costacurta?
Diciamo che Alessandro è più simile a me, direi anzi che ci assomigliamo. Siamo entrambi sottili, slanciati.
Con Tomba siete rimasti amici?
Sì, ci siamo messaggiati proprio poco fa. Sto per andare in vacanza con mio marito in un hotel dove 22 anni fa ero andata con lui. Gli ho chiesto il nome di una persona che avevamo conosciuto, che gestiva un ristorante vicino all’albergo.
Chi è più severo riguardo all’allenamento e all’alimentazione tra lei e suo marito?
Entrambi abbiamo capito che se conduciamo uno stile di vita sano stiamo meglio: cerchiamo di dormire di più, di allenarci regolarmente e di non mangiare schifezze. Però, se siamo in Romagna, non mi nego di certo le lasagne di mia nonna, gli strozzapreti e le piadine. Ci aspetta per la cena della Vigilia, il 24. È un’ottima cuoca e in quei casi mi concedo di “svaccare”.
Come si vive da Martina Colombari? Come è una sua giornata tipo?
Se lavoro, la giornata inizia alle 6,45. Ci svegliamo tutti e tre e facciamo la colazione, che a casa nostra è sacra. Vado un’ora in palestra, dove c’è un personal trainer che mi segue da dodici anni. Poi al lavoro: foto, riprese, ospitate, interviste, convention. Infine la sera ci ritroviamo tutti a casa per la cena. Nel pomeriggio, chi tra me e Alessandro è libero si occupa di Achille.
Un suo amico, che ha lavorato spesso con lei, mi ha detto: “È focalizzata e determinata. È affidabile, mai una crisi isterica, una depressione, una debolezza, è come un militare asburgico. Se fossi in attesa di un trapianto di cuore e lo dovessero portare da Katmandu a qui, darei l’incarico a Martina”.
È vero! Un mio ex mi chiamava “generale”, un altro “limonata”, per la mia gestione iperorganizzata della vita, che va dallo svuotare una valigia a riorganizzare un armadio. Bisogna pensare che sono venuta a lavorare a Milano a sedici anni, subito dopo Miss Italia, e sono stata subito ingaggiata dall’agenzia Riccardo Gay. Arrivavo da Riccione, figlia di un ristoratore pizzaiolo, e sfilavo insieme a Naomi, alla Schiffer, a Kate Moss. Non era permesso perdere treni, aerei, rispondere male, arrivare non depilata ai servizi fotografici, essere ciccia e brufoli… Il rigore è partito da lì, da quando ho vinto Miss Italia e mi hanno messo la corona in testa.
Sogna di tornare a Riccione, quando sarà vecchia?
Io Riccione ce l’ho sempre nel cuore, e infatti abbiamo comprato casa e andiamo spessissimo. Là si fa una vita meravigliosa. Le persone hanno una verve fantastica. Da Pasqua a ottobre si va in spiaggia. Mia madre veniva a prendermi a scuola e andavamo al mare. Mangiavamo dei panini in spiaggia, facevo i compiti lì, e si tornava a casa per cena. Però io sto bene anche a Milano, mentre mio marito, che ha alle spalle dieci anni di Milano più di me, soffre il grigiume, il traffico, lo smog. Ogni tanto parla di trasferirsi a Riccione.
Modella, attrice, conduttrice: quale di questi ruoli è più suo?
Mi piacerebbe tornare a fare televisione, perché recitare mi diverte e mi fa star bene. La possibilità di interpretare donne differenti ti permette di vivere vite continuamente nuove e ogni tanto di fare un po’ la paracula: “Tanto lo sta dicendo il mio personaggio”. Come modella, davanti a una macchina fotografica, mi diverto da morire: mi lascio andare completamente, se ho davanti un fotografo che stimo. Mi piacerebbe anche tornare in tivù per un varietà, in cui sfoderare un po’ di autoironia. Recitare, ballare, presentare: credo di cavarmela in tutto, tranne il canto.
Quale è stato il suo più grande fallimento?
Non ho provato ad andare a lavorare all’estero. Mi sono attaccata al nostro Paese, alle persone che amavo. Avrei potuto rischiare, azzardare.
Cosa l’ha resa infelice da piccola?
Intanto non ero bella: portavo gli occhiali bifocali, tagliati nel mezzo, e poi tutti avevano le Timberland, lo zaino Invicta il bomber. A me queste cose non interessavano, e perciò gli altri non mi coinvolgevano e io mi sentivo tagliata fuori. E poi non potevo andare in discoteca, non avevo il motorino… ero un po’ una sfigata. Mia madre mi ha avuta molto giovane, a sedici anni, e forse per paura di sbagliare è stata molto protettiva.
Il più bel regalo che ha fatto?
A mio marito, quando nel 2013 ho comprato una pagina del Corriere. C’era un cuore e dentro era scritto: “Grazie Ale per questi meravigliosi 17 anni passati insieme!!! Buon anniversario, tua Martina”. Va detto che lui è introverso e non ama gesti eclatanti, non gli piace essere fermato per strada dalla gente. Tutto il contrario di me.
E il più bel regalo che ha ricevuto?
Una festa a sorpresa organizzata da mio marito per i miei quarant’anni. Aveva invitato un centinaio di amici, e ognuna delle persone che salutavo pensavo che per fortuna c’era, che avrei proprio voluto invitarla.
Il suo stile quale è?
In sette giorni riesco ad adottare sette look diversi. Ho sette o otto personalità, e quando mi sveglio ce n’è una che mi dice “Buongiorno, oggi ci sono io”.