Nella percezione del pubblico di lettori e spettatori, Silvio Muccino è tra i massimi esperti italiani nella messa in scena dei problemi (e delle eccitazioni, delle gioie e dei segreti) legati all’essere ragazzi. Una serie di successi, a partire da Come te nessuno mai, il suo primo film interpretato e scritto (a 16 anni!) col fratello Gabriele. Seguito, da Che ne sarà di noi, scritto con Giovanni Veronesi, da Il mio miglior nemico, scritto e interpretato con Carlo Verdone, fino ad arrivare al successo di Parlami d’amore, prima il libro e poi il film, scritto con Carla Vangelista. Da allora, era il 2006, Carla è la sua musa, o lui è la musa di lei (questo è ancora da stabilire e probabilmente la miscela varia di giorno in giorno), e insieme sono diventati una formidabile coppia artistica. Ora hanno scritto un nuovo romanzo, Rivoluzione N° 9, che racconta una storia di adolescenti, narrata dall’interno dei loro segreti e delle loro insofferenze; una storia che riguarda tutti noi, perché tutti noi – anche quelli che adolescenti non lo sono più da un pezzo – abbiamo trattenuto tracce di quei disagi e di quegli entusiasmi che hanno infestato e creato a sostanza della nostra crescita.
– I temi del vostro libro: l’eccitazione sessuale, il desiderio della morte dei genitori, le prime mestruazioni, l’incessante senso di inadeguatezza contrappuntato dall’inadeguatezza dei genitori, i tradimenti degli amici, la vergogna e la paura… Carla e Silvio, anzitutto vorrei sapere se siete guariti dalla vostra adolescenza.
Carla: Ora che sono grande vado dallo psicanalista, mentre quando ero adolescente avrei voluto farlo. Desideravo raccontare a qualcuno le cose che non avevo il coraggio di dire ai miei genitori. Almeno questo problema, ora l’ho risolto!
Silvio: Anche io vado dall’analista, è questo è già un risultato. Quando ero adolescente non ci pensavo proprio a confidarmi con un terapeuta. Mi avrebbe fatto molta paura. E se avessi trovato una conferma alla mia sensazione di essere matto? Io ero un ragazzino che tendenzialmente voleva nascondersi, non riucivo a vivere una vita nel presente.
– Il romanzo intreccia le voci di Sofia, che ha 14 anni nel ’64, e Matteo, quindicenne nel ’97. Tra la Sofia descritta da Carla e il Matteo scritto da Silvio, cosa è cambiato principalmente?
Carla: Sono due Italie diverse. Sofia è una ragazza intrappolata nel perbenismo degli anni ’60. Ma le sue dinamiche emotive sono universali e non hanno tempo. L’eccitazione e la paura erano e rimangono le principali caratteristiche dell’adolescenza.
Silvio: Matteo appartiene ai nostri giorni e si confronta con donne libere e disinibite, al limite dell’intimidatorio ma del tutto inadeguate ai sentimenti.
– Perché avete pensato di scrivere un romanzo dedicato interamente all’adolescenza?
Carla: L’adolescenza è quando ti trovi per la prima volta di fronte al problema del cambiamento, anzitutto perché te lo chiede il tuo corpo. È un passaggio inevitabile. Non sai come si fa, non hai il manuale di istruzioni, ma devi farlo. Più avanti, da grande, proverai ancora gli stessi impulsi travolgenti, ma non sarà più la prima volta. A guidarti avrai l’esperienza.
Silvio: Avevamo voglia di parlare di certe emozioni stando lontani dalla retorica legata ai romanzi adolescenziali. Ho descritto con onestà il senso di inadeguatezza e il senso di colpa che rovinano la vita di un ragazzo. Di solito la letteratura per adolescenti è incentrata su elementi di favola e su cliché zuccherosi, mentre io ho affrontato questa prova con onestà brutale. Il fuoco del romanzo non è tanto sulla retorica delle prime volte quanto sulla diseducazione. La famiglia, lo stato, il governo vogliono educarti: bisogna imparare a dire di no, diseducarsi e costruire un proprio pensiero.
– Sentendovi parlare, e osservandovi, sembra che le storie dei protagonisti coincidano con le vostre personalità. E’ così?
Carla: No, quello del romanzo è un intreccio inventato. Però ho usato le mie suggestioni e i miei ricordi per scrivere la storia di Sofia. Ho avuto un’adolescenza piena di passioni, di sfrontatezza, di cambiamenti… Mi piace ricordare quegli anni, e ho sempre cercato di tenerne acceso il ricordo, anche prima di scrivere il romanzo. Inoltre ho un figlio, Luca, ormai trentenne, la cui adolescenza ribelle (cioè sana, a detta degli psicanalisti) è rimasta tatuata sul mio corpo. Insomma: è un tema di cui ho una visuale completa.
Silvio: Anche Matteo è un personaggio inventato. Ma ci ho messo dentro tutta la verità possibile, quella che ho provato anch’io. La frustrazione, la paura di fallire e di essere impotente… Le cose che di solito non trovi scritte.
– A cosa si riferisce il titolo del libro?
Carla: A un certo punto Daniele, un amico adulto di Matteo, gli fa ascoltare la Nona di Beethoven e dice che lì dentro c’è tutto quello che di vitale, forte e dirompente si trova nella sua condizione. È così intensa ed esplosiva da riuscire a liberare le energie che un adolescente tiene ingabbiate. Quando avevo la tua età, gli dice, ho ascoltato per la prima volta questa sinfonia e ho deciso che d’ora in poi l’avrei chiamata non sinfonia ma rivoluzione. Rivoluzione N° 9.
Silvio: È in quell’occasione che Daniele pronuncia una frase chiave del libro: “L’adolescenza è una rivoluzione che ti scoppia dentro. L’unico modo per sopravvivere è portarla fuori”. E poi Revolution # 9 è un pezzo dei Beatles, e Sofia, la protagonista, si confida solo con il poster di Paul McCartney appeso sopra il letto.
– Rivoluzione N° 9 diventerà un film?
Carla: È nato per essere libro. Basti pensare che non c’è una parte per Silvio. La realtà è che avevamo proprio voglia di raccontare questa storia, e scrivere un libro ti da una libertà totale. Puoi fregartene delle regole della trasposizione cinematografica. Al momento ci godiamo questa cavalcata, ma poi se diventasse un film… be’, comunque ne sarei felice.
Silvio: Se avessi scritto per il cinema avrei tagliato il libro in modo diverso, rispettando le regole. Per esempio avrei dovuto inserire una storia d’amore portante, che invece non c’è. Ho preferito scrivere in libertà, e questa è la storia più sincera che abbia mai scritto. C’è la ribellione interiore di un figlio verso una figura materna, e il ragazzo ha per figura di riferimento un signore di 60 anni. Non sono contenuti molto cinematografici.
– Come avete scritto questo libro, insieme o separatamente?
Carla: Dopo aver stabilito dei punti fermi, siamo andati ognuno per conto proprio. Silvio scriveva Matteo e io Sofia. Ogni giorno ci confrontavamo. Al momento di montare, alternandole, le due parti, eravamo preoccupati che non funzionasse, e invece…
Silvio: La cosa che ci ha molto sorpreso è che in realtà i pieni e i vuoti di questi personaggi si incastravano perfettamente. Un’alchimia, quella tra le parti del libro, che è la stessa che magicamente esiste tra me e Carla. Come Sofia e Matteo, siamo due persone con vite ed età completamente diverse, che però dialogano riempiendo uno le caselle libere dell’altro.
– Questo vostro sodalizio artistico vi ha reso forti? Avete dovuto sopportare delle maldicenze e insinuazioni?
Carla: Certamente. Molti hanno sostenuto che la storia d’amore tra i protagonisti di Parlami d’amore fosse la nostra. Ma la protagonista del romanzo ha 40 anni e io purtroppo ne avevo già 50! All’inizio è stato pesante, anche per gli equilibri famigliari, poi ho assorbito tutto e da allora – sono passati sei anni – il nostro sodalizio ha continuato a funzionare. E il mio compagno non è geloso. Scrive anche lui e capisce le dinamiche di un rapporto come quello tra me e Silvio.
Silvio: Quando a16 anni sei davanti alla macchina da presa, come è capitato a me, pensi di essere ciò che dicono di te. Dipendi dall’opinione pubblica. È la condizione di chi viene scelto (gli attori). Ma dopo il successo del film che ho scritto con Verdone e soprattutto dopo l’incontro con Carla sono diventato uno che sceglie. Come vivere, cosa scrivere, cosa dirigere e interpretare. Mi sono liberato. Anche dalla maldicenza.