Spesso quello che vediamo non è una verità ma un’interpretazione. Prendiamo, per esempio, la signora davanti a me. Potrei certamente dire che vedo una vecchia coi capelli grigiastri, i lineamenti aguzzi, lo sguardo incavato e smarrito – forse rivolto a ricordi confusi e a pensieri appannati. Potrei persino lamentarmi perché ho perso tempo: che senso ha andare fino a New York per incontrare una persona che quasi non comunica, per via di qualche malattia senile che le ha tolto la parola e forse anche il pensiero?
Ora invece cambiamo interpretazione: potrei dire che la donna di 74 anni in piedi accanto a me è guizzante come una ragazza e che, anziché esprimersi con le parole, tende a farlo col corpo, tra l’altro spiegandosi benissimo. Potrei aggiungere che commuove la tenerezza con cui si stringe al bellissimo uomo che le è accanto, anche perché lui la cerca continuamente con lo sguardo e, accidenti, ditemi voi se non vorreste essere lei, Trisha Brown, la ballerina e coreografa che ha rivoluzionato il mondo della danza contemporanea, mano nella mano col suo allievo Lee Serle, giovane ballerino e coreografo australiano dallo sguardo sognante, uno che mentre balla (l’ho visto da meno di un metro) riesce a far guizzare ogni muscolo, persino quelli del collo e del viso. Ditemi voi se alla sua età non vorreste avere un corpo come il suo, che ballando è in grado di volteggiare e slungarsi e arricciarsi e snodarsi, anche se per camminare in una stanza, tra tanta gente che è lì per onorarla, ha bisogno di essere tenuta per mano. Dev’essere qualcosa di simile a quello che capita ai balbuzienti: appena si tratta di cantare si sciolgono e per miracolo gli fluiscono le parole senza inceppature.
Trisha Brown è tra i grandi coreografi del ‘900 quella che più ha reso estreme le possibilità del corpo, rivoluzionando la concezione di spazio, gravità, fluidità. “Sto cercando di raggiungere la danza perfetta, è questo che mi spinge a innovare,” ha dichiarato per spiegare la continua evoluzione del suo percorso coreografico. Arrivata a New York nel ’61, ha iniziato sguinzagliando la propria immaginazione con improvvisazioni, teatro d’avanguardia, pittura astratta, studio delle danze afro-americane. Erano anni di gran fervore avanguardistico, tra il Greenwich Village e SoHo, e la Brown diede il suo contributo portando la danza fuori dai teatri, sui tetti, nei giardini, nelle zone postindustriali di Manhattan. Coreografie astratte, antinarrative, spesso in assenza di musica, per le quali è stata coniata la definizione di postmodern dance. Famoso il suo Man Walking Down the Side of a Building (1970), vero e proprio studio sulla gravità, in cui il marito, imbragato come un rocciatore, camminava perpendicolarmente alla parete di un edificio. Poi, nel ’79, Trisha Brown ha ripreso a creare lavori per lo spazio chiuso dei teatri, e con Set and reset (1983), un’opera con costumi e scene realizzati dal suo amico Robert Rauschenberg e con le musiche di Laurie Anderson, è infine riuscita a ottenere anche un grande successo di pubblico. In seguito, con la sua compagnia, si è avvicinata alle radici della danza classica, creando coreografie per l’opera. Ora che la Trisha Brown Company è ingaggiata da tutti i principali teatri del mondo, lei è stata scelta da un’iniziativa Rolex come Maestro nel settore della danza, per seguire lungo un anno la formazione di un ballerino coreografo da lei scelto fra i tre selezionati da una giuria. Trisha li ha esaminati e ha danzato con loro, e alla fine ha scelto il bel Lee Serle.
Non è facile parlare con lei, ma sono riuscita a farle qualche domanda. Come mai ha scelto proprio Lee? “Perché ha un modo forte e mobile di esprimere gestualità anche col viso. Abbiamo avuto il tempo di parlare e imparare qualcosa l’uno dell’altro. E mi ha affascinata”.
In quarant’anni di carriera, ha avuto altri allievi con cui ha stabilito una relazione così intensa? La Brown mi guarda, poi si volta a guardare lui, cerca la sua mano. “Ho avuto una mia compagnia per quarant’anni, ho insegnato al Reed College e, prima ancora, ho insegnato danza a New York. Quindi mi è capitato di lavorare con molti allievi nella mia vita di ballerina e coreografa, ma questa esperienza è stata unica. La Rolex ci ha dato il tempo di scambiarci esperienze in assoluta libertà, senza l’obbligo di mettere in piedi una produzione”. Le chiedo quale sia il modo migliore per formare un ballerino. Stavolta lascia che a rispondere sia la sua assistente: “Trisha Brown è sempre in cerca di qualcosa di nuovo. Il miglior metodo è quello ancora da scoprire”.
Mentre le parlo, e lei sembra persa nella mano di Lee Serle, lontana dagli affanni intellettuali che senz’altro in passato sono stati parte integrante della sua personalità, scorrono su uno schermo le immagini di Maestra e Allievo che provano figure di danza. Sono immagini recenti, che hanno meno di un anno. È incredibile la differenza tra la persona che vedo danzare sullo schermo e quella seduta davanti a me, che fa tanta fatica a esprimersi. In un libro di Rossella Mazzaglia su Trisha Brown, ho trovato un aneddoto in cui la celebre coreografa si dimostra un’antesignana del multitasking femminile. Negli anni Sessanta, creò uno spettacolo, Homemade, in cui nel ballare proiettava un filmato della stessa danza tramite un proiettore legato alla schiena, facendo a sua volta danzare le immagini su pavimento, pareti e pubblico. Racconta la Brown: “Ero andata nel negozio che noleggiava le attrezzature per le riprese e sono tornata a casa in metropolitana, trasportando nel passeggino non solo il proiettore ma anche mio figlio: un’odissea indimenticabile. E per lo spettacolo ho preso un marsupio del bebé e ci ho messo dentro il proiettore.”. E allora, qual è l’interpretazione corretta: Trisha Brown è una vecchia signora malata, o la più contemporanea di tutte noi, una che si è liberata dalle parole per esprimersi solo col corpo?
Nel 2002 la Rolex ha inaugurato “Maestro e Allievo”, un programma di incentivazione delle arti giunto alla quinta edizione. Ogni due anni, un comitato consultivo seleziona sei personalità di spicco nel campo della danza, del cinema, della letteratura, della musica, del teatro, delle arti figurative. Ognuno di questi sei grandi artisti accetta di fare da Maestro per un anno a un giovane di talento, scelto tra tre candidati selezionati da giurie di esperti nei vari campi artistici. Il Maestro e l’Allievo vengono retribuiti e i viaggi che dovranno affrontare per incontrarsi durante l’anno di apprendistato sono a carico della Rolex. Lo scopo dell’inizativa è creare un trampolino di lancio per giovani artisti talentuosi, istituire relazioni durature tra Maestro e Allievo, far sì che si creino collaborazioni interdisciplinari tra gli artisti che partecipano all’iniziativa, favorendo lo scambio intergenerazionale e la trasmissione della cultura.
Come conclusione dell’edizione 2010-2011, pochi giorni fa a New York si è festeggiato un week-end delle arti, durante il quale Maestri e Allievi hanno mostrato al pubblico alcuni lavori frutto della loro collaborazione.
I Maestri e Allievi di quest’ultima edizione sono stati: per la danza Trisha Brown (USA) e Lee Serle (Australia); per il cinema Zhang Yimou (Cina) e Annemarie Jacir (Territori palestinesi); per la letteratura Hans Magnus Henzensberger (Germania) e Tracy K. Smith (USA); per la musica Brian Eno (Gran Bretagna) e Ben Frost (Australia); per il teatro Peter Sellars e Maya Zbib (Libano); per le arti figurative Anish Kapoor (Gran Bretagna) e Nicholas Hlobo (Sudafrica).