Far morire dal ridere chi coltiva pregiudizi sulle donne, i portatori di machismo, i sostenitori di assurde disparità. Sì, ma ridere di sé stessi. Smascherare tutto quello che non ha una logica, una motivazione, ma solo la forza di un’ingiustizia secolare. Travolgere a forza di risate gli ostacoli culturali e sociali che ci avvelenano la vita, con cui ognuno di noi, persino chi non è donna, combatte quotidianamente. E ancora: “Una risata vi seppellirà”, ma anche “Il re è nudo”, sono motti che fissano la forza eversiva della satira. Sono armi potenti lo sberleffo e la risata, tant’è vero che, tra gli artisti, i comici sono sempre stati le prime vittime delle dittature.
Grazia ha intervistato tre attrici comiche di punta, molto amate dal pubblico. A teatro, al cinema e in televisione, nel nostro Paese c’è una lunga e importante tradizione di ruoli melodrammatici, mentre in passato, per quanto riguarda la commedia e la comicità, a parte la grande Franca Valeri, le donne sono state quasi sempre relegate nel ruolo di spalla di un attore.
Katia Follesa, Brenda Lodigiani, Paola Minaccioni invece si sono prese la scena, hanno scelto di essere protagoniste, di dissacrare i luoghi comuni e mostrare sempre l’altro lato della medaglia.
Katia Follesa, lombarda, è un’attrice comica di grandissima esperienza. Il suo rapporto con il pubblico è straordinariamente consolidato: difficile trovare un programma televisivo di comicità o satira dove non abbiamo riso con lei. Da Colorado Cafè a Zelig, da Scherzi a parte a Social Family -Stories di Famiglia, da LOL: Chi ride è fuori a Boomerissima. E poi cinema (tra gli altri, Benvenuti al Nord), reality, giurie di gare di talent, radio, spot pubblicitari, doppiaggio, teatro. La sua carica umana “funziona” in molte declinazioni del mondo dello spettacolo. Con il compagno, il comico Angelo Pisani, ha scritto lo show Ti posso spiegare, e lo stanno portando in tour. Insieme hanno una figlia, Agata.
Katia, lei si è mai sentita poco valutata rispetto alle attrici che sono conosciute per i loro ruoli drammatici?
Proprio così. Purtroppo, c’è una netta distinzione tra chi fa il cosiddetto cinema impegnato e chi fa comicità. Il dramma e la sofferenza attirano riconoscimenti molto più dell’ironia, della comicità, della leggerezza. Forse perché il pubblico e la critica si ritrovano nel racconto del dolore, come se fosse una sorta di autoanalisi. “Io sto soffrendo, perciò mi fa piacere che tu, sullo schermo stia soffrendo come me. Mi sento meno sola”. Noi attrici comiche, invece, siamo amate dal genere di pubblico che sa ridere di sé stesso, con un’ampiezza di sguardo che fa vedere i retroscena della realtà. Dal mio punto di vista, per cogliere l’assurdo ci vuole una capacità culturale più ampia, bisogna saper attraversare il dramma attraverso l’ironia.
Infatti, è raro veder premiate attrici comiche.
Nel panorama dello spettacolo italiano non c’è un premio dedicato alla comicità. Eppure, noi sappiamo analizzare senza filtri le donne nella loro forza e nelle debolezze. E abbiamo studiato teatro come gli attori del cinema impegnato.
Per esempio, un segno di questa discriminazione è che il mondo dell’alta moda fatica a riconoscere le comiche, soprattutto quelle che “fanno la tivù”. Non ci invitano alle sfilate, non ci vestono. Cioè: che cos’è che c’è di diverso tra me e, che ne so, Monica Bellucci? Lo dico proprio con orgoglio: io non mi sento di meno. Non parliamo di bellezza, eh! Parliamo di personalità: sono sicura che riuscirei a indossare un capo di alta moda con altrettanta disinvoltura.
Parliamo di uomini: come vede lei questo stillicidio di violenze maschili compiute sulle donne?
L’uomo non nasce con l’intento di violentare e di uccidere. Evidentemente gli succede qualcosa nel percorso della vita. Sarebbe opportuno che ognuno si prendesse cura della propria mente. Chiaramente chi violenta e chi uccide non è dotato di ironia, così come i famosi haters dei social. Sono tutte persone che non sanno ridere, che non sono capaci di guardarsi dentro e vedere le proprie contraddizioni. Io curo molto la mia mente, ormai da tempo. E sono arrivata alla maturità, a quasi 50 anni, con estrema consapevolezza. Invece ci sono persone che hanno bisogno di cure e non sanno chiedere aiuto. Eppure, ci sono i consultori, proprio per chi ha bisogno di assistenza psicologica e magari non se la può permettere.
Invece, i pregiudizi sono sulle donne. Sono più adatte ai lavori di casa e alla cura della famiglia che al mondo del lavoro, al limite possono fare le segretarie e le commesse, ma non sono in grado di assumere incarichi di responsabilità e comando.
L’uomo è unidirezionale, la donna no! Mentre accompagna i figli a scuola, ha già caricato la macchina elettrica al 100%, prenotato le vacanze di Pasqua, fatto la luce pulsata alle ascelle (le mancavano solo quelle), fatto la spesa, ma non al supermercato, dal macellaio e dal fruttivendolo, ed è andata in fattoria a prendere le uova fresche. È tornata a casa, ha fatto i letti, cambiato la lettiera del gatto, tolto le tende per dargli una rinfrescata. E sono solo le 9 del mattino. È pronta ad andare al lavoro. Vogliamo cambiare la biologia? Sì! Del resto, Audrey Hepburn diceva: “Se gli uomini fossero belli e intelligenti si chiamerebbero donne!”
Cosa direbbe a chi sostiene che alla fine, per una donna, la miglior carriera è sempre sposarsi un uomo ricco?
Che invece, per un uomo, la miglior carriera è stare accanto a una donna che ne asseconda l’ego smisurato e si fa da parte per non fargli perdere l’autostima.
Brenda Lodigiani, lombarda, ha solo 36 anni e tuttavia una carriera ormai lunga e consolidatissima. L’esordio come ballerina e poi conduttrice di programmi per bambini, fino a scoprire il suo più grande talento: farci ridere. Il grande successo di pubblico è arrivato con il Gialappa Show, con le imitazioni e con il ruolo di “Milanese imbruttita”. A seguire, il cinema, il teatro, la radio, la partecipazione alla terza edizione di LOL: Chi ride è fuori. È di pochi mesi fa un bel romanzo a sfondo autobiografico, Accendi il mio fuoco, in cui Brenda ricorda e racconta una parte di sé, la sua crescita tra il mondo dei sinti (la famiglia della nonna materna) e il mondo gagi (ossia i non sinti e non rom). Brenda Lodigiani ha un compagno e due figli piccoli.
Brenda, quando le capita di ascoltare qualche irritante luogo comune irritante sulle donne, come immagina di utilizzarlo per creare delle battute, o delle scene comiche?
Per esempio, provo a cambiare il mio punto di vista. Immagino un mondo che è molto lontano dal nostro, un mondo dove i padri, che diventano padri senza partorire i figli, siano loro a dover scegliere tra carriera e famiglia.
Questo riguardo alla vita familiare. E nella vita comune? Mi faccia un esempio di una situazione ribaltabile, con effetto comico.
Proprio recentemente stavo andando a fare delle commissioni in bicicletta. Pedalavo lungo una strada molto stretta e piena di buche, e ovviamente andavo piano perché avevo paura di cadere. Un tizio alla guida di un Suv dietro di me inizia a suonare il clacson come un pazzo. Poi si accosta, ti tira giù il finestrino e mi dice “Sei una puttana, ti devi spostare puttana”. Ovviamente mi sono spaventata e mi sono spostata, perché non c’era altro da fare. Se avessi reagito in modo aggressivo c’era il rischio che mi sentissi dare della mestruata isterica. Ma se io fossi stata alla guida del Suv e c’era un uomo in bici e gli avessi detto: “Ti devi spostare puttano!”, come avrebbe reagito? Se gli faccio fare quello che ho fatto io, cioè fermarmi e mettermi a lato per lasciarlo passare rombando, si ottiene l’effetto comico.
Le faccio qualche domanda provocatoria. Domanda patriarcale 1: Lei è una brava madre? Si occupa dei suoi figli, cosa gli cucina?
Sì, certo, sono bravissima. Sono molto disordinata e soprattutto non so cucinare, e forse proprio per questo i miei figli sono in peso forma e sanissimi. Sarà perché funziona la dieta a pane e battute?
Patriarcale 2: Lei abiterebbe in un edificio progettato da un’architetta? Le donne non sanno fare i calcoli, è noto, non è meglio che si limitino a fare le arredatrici?
“L’architettura è un mestiere da uomini ma io ho sempre fatto finta di nulla”, diceva la grande architetta Gae Aulenti. Piuttosto, farei un appello: Mamme, dico a voi che leggete: basta regalare costruzioni ai figli maschi, che poi si mettono in testa di fare gli architetti. C’è bisogno di idraulici ed elettricisti, son mestieri che si stanno perdendo. Mi fa arrabbiare la ghettizzazione di genere dei giocattoli. A Natale, quando i nonni portano i regali a casa, scambio i nomi sui pacchetti così sono sicura che da grande mia figlia diventerà un’allegra chirurga e mio figlio sarà capace di cambiare i pannolini.
Patriarcale 3: Ma non sarà che il mestiere migliore per una donna sia quello di sposare un uomo ricco e lasciar lavorare gli uomini?
Non ho mai sognato di sposarmi con un uomo ricco, ma di divorziare da un uomo ricco sì, quello lo sogno più o meno ogni fine mese.
Patriarcale 4: La vita lavorativa riesce a darle gratificazioni che non ha tempo di avere a casa? Non è frustrante lavorare con altre donne dato che ci odiamo tutte?
Forse sarebbe meglio essere ricchissimi e non dover lavorare, ma lei mi parla di competizione femminile. E allora cosa dire della sfida a chi ce l’ha più lungo? Credo che l’abbia inventata un maschio. Una donna di sicuro non può essere.
Patriarcale 5: Ma le madri non vogliono fare troppe cose, col risultato che poi sono sempre a casa e sul lavoro gli altri devono lavorare al posto loro?
Proprio perché siamo donne sappiamo fare anche due cose contemporaneamente. Io ho lavorato fino a una settimana prima di partorire e venti giorni dopo ero sul set di Quelli che il calcio. Magari per me è stato faticoso, però nessuno si è accorto di niente. Ecco!
Patriarcale 6: Mi dica, quando lei vede una donna che guida un autobus si fa il segno della croce e aspetta quello successivo?
Mannò, io ringrazio il cielo perché so che almeno quel giorno arriverò puntuale. Magari poi la guidatrice avrà problemi a parcheggiare l’autobus, ma tanto i capannoni delle rimesse sono talmente grossi che di sicuro ce la farà!
Patriarcale 7: Lei si farebbe operare da una chirurga? Un lavoro così maschile per cui ci vuole esperienza, capacità di fare squadra e anche una grande resistenza fisica?
Riguardo alla resistenza fisica, le cito quello che mi ha raccontato un’amica. Mentre partoriva, suo marito guardava il punto in cui stava uscendo il bambino e tutto soddisfatto le dice: “Tu non hai visto quello che ho visto io”. A quel punto interviene l’ostetrica che ribatte: “Si immagini di cagare un melone e poi ne riparliamo”. Mi ha fatto troppo ridere, perché quando io sono andata a partorire Olivia, e le giuro non avevo fatto ancora niente, mi ero solo seduta e non mi ero neanche tolta i pantaloni, il mio compagno è svenuto. E mentre sveniva, l’ostetrica mi dice: “Guardi suo marito sta svenendo, ma noi possiamo far finta di niente”.
Paola Minaccioni, romana, ha una carriera decisamente fitta, divisa tra cinema, teatro, stand up e radio. Ha frequentato il Centro sperimentale di cinematografia e fatto parte del laboratorio di Serena Dandini. Il primo film risale al 1993, e da allora l’abbiamo regolarmente incontrata sugli schermi: Fascisti su Marte con Corrado Guzzanti, Un’estate al mare di Carlo Vanzina, Reality di Matteo Garrone, Benedetta Follia di Carlo Verdone, cinque film tra cui Allacciate le cinture (per cui ha ricevuto numerosi premi) e la serie Le fate ignoranti di Ferzan Özpetek. A Radio 2, Il ruggito del coniglio e 6 uno 0. A giugno sarà in scena con Miles Gloriosus di Plauto al Teatro Greco di Siracusa.
Lei è un’attrice che ha fatto molto cinema, mondo da cui sono arrivate le denunce che hanno portato alla nascita del movimento Me Too. È mai stata molestata sul lavoro?
Volevo dire che io non so cosa dire, perché in tanti anni di carriera non sono mai stata molestata, quindi da un certo punto di vista ci sono rimasta anche male dato che nel mondo del cinema sono state molestate tutte, belle brutte, e a me neanche un accenno. Ma lo sa, senza molestie, quanti ruoli ho perso? Quanti film non ho fatto? La verità è che ho subito molestie al contrario!
Lei sta scherzando, o forse no. Nel mondo dello spettacolo oggi ci sono sempre più produttrici. Ma il sistema di potere è ancora maschile?
Sì, il vero potere, la maggioranza è ancora degli uomini, anche se il trattamento inizia a essere diverso. Però continuiamo ad avere compensi inferiori e a dover fare molta più fatica per emergere.
Lei cosa pensa del pregiudizio sulle donne che se la sono cercata? Per esempio, quando una donna viene violentata e deve difendersi perché era in giro da sola di notte, o aveva bevuto, o aveva abiti troppo femminili. Se noi incontriamo un uomo ubriaco e nudo mica lo violentiamo! Casomai chiamiamo il 118.
Allora se la cerca anche chi passeggia per i boschi e viene aggredito da un orso o da un lupo? Noi umani, quegli orsi o lupi li abbattiamo. Invece per gli uomini troviamo tutte le scuse e le giustificazioni. Forse dovremmo fare il contrario, potremmo salvare i lupi e gli orsi e abbattere chi ha coscienza e non la usa.
Ma secondo lei una donna che si presenta al lavoro o a un esame universitario più svestita che vestita, è una molestatrice di uomini?
La molestia presuppone una posizione di potere, anche solo fisico. Molestatrice potrebbe essere solo una donna che abusa del suo potere tramite un ricatto sessuale. Sinceramente, lei ne ha mai incontrate? Magari da qualche parte nel mondo qualcuna se ne troverà…
E quelle che bevono, si drogano, provocano gli amici perché magari non si rendono conto di quel che fanno, ma lo fanno, non dovrebbero prendersi delle responsabilità? Possibile che le responsabilità di essere lucidi e adulti debba essere solo dei poveri maschi?
Ma per forza deve essere una loro responsabilità. A noi donne la responsabilità ce la inculcano fin da piccole, ordinandoci di sparecchiare la tavola mentre nostro fratello si sta già grattando i piedi sul divano. Poi, da grandi, per diventare finalmente responsabili, i maschi devono applicarsi, violentarsi, sforzarsi per recuperare tutto il fancazzismo dei primi 25 anni di vita. Bisogna sapere che un uomo non è adulto prima dei 40!
Quando sente dire di una donna: “Poveretta è brutta, non troverà mai un uomo, è destinata a una vita da zitella”, cosa che obiettivamente non si dice mai di un uomo, lei cosa pensa?
Che magari può trovare una donna! E anche: per fortuna è un problema che non mi riguarda…
Lei non ha figli. Almeno non viene accusata di lavorare troppo e non dedicarsi alla loro educazione.
Però ho il dramma di chi non ha figli, quindi di essere ritenuta una donna incompleta. E sono paradossalmente proprio le donne a fartelo notare. Perché siamo noi stesse imbevute di questa cultura che ci inchioda al ruolo materno. Se un uomo non ha fatto figli, è perché si vuole divertire. Una donna invece è una sfigata. Quando non usiamo le nostre “potenzialità riproduttive” è come se ci dicessero “È intelligente ma non studia”. Questa è cultura patriarcale, farci sentire persone sprecano le proprie risorse. E comunque sa cosa faccio? Adesso esco, e cerco un uomo con cui fare un figlio.
C’è chi sostiene che, a forza di pretendere parità e rispetto, gli uomini diventeranno tutti gay.
Vale a dire che quelli che restano saranno sempre più sfigati e rancorosi, dei panzoni pelati aggressivo passivi? Che ci resteranno solo quelli se gli succede qualcosa è colpa della mamma che non li ha educati, della fidanzata che non li ha protetti, della moglie che non li ha messi sulla retta via? Quelli che pensano che abusare una donna è quasi un regalo che le fai?
In pratica, un’autodistruzione di genere e di specie.
Ma sì, però bisogna anche capire che molti maschi sono spiazzati. Anche lo stesso atto sessuale, il nostro organo di riproduzione… Noi lo dobbiamo scoprire, non capiscono bene come funzioni. Invece loro hanno quell’orpello che maneggiano e in cinque secondi hanno capito tutto. Noi siamo complicate. Finché erano “il maschio che non deve chiedere mai” stavano sereni, ma quelli più sensibili e contemporanei sono disorientati.
E noi donne impegnate a litigare e farci le scarpe sul lavoro.
Guardi che la cosiddetta rivalità femminile sul lavoro è sempre dovuta al fatto che nel nostro immaginario culturale i ruoli spetterebbero ai maschi, e quindi per conquistarli finisce che si compete tra donne. Tutto per conquistare un ruolo che è occupato da un maschio al potere. Per forza poi spesso diventiamo nevrotiche e ansiose!