Camilla Baresani

Sommario

LUISA RANIERI – Ho imparato a volermi bene

- Grazia - Interviste

In Viale del tramonto, uno dei più celebri film della storia del cinema (è del 1950), Gloria Swanson interpretava con spietato realismo il ruolo di una diva in disarmo, incapace di arrendersi al declino. Aveva cinquantun anni. Luisa Ranieri a dicembre ne compirà cinquanta. Più bella che mai, è invece all’apice della carriera di attrice. Interprete di grande versatilità, è richiestissima da quei registi con cui tutti vorrebbero lavorare, quelli a cui non si può dire di no: ha finito di girare Nuovo Olimpo di Ferzan Ozpetek, che uscirà in autunno, ed è pronta a interpretare il nuovo film di Paolo Sorrentino, dopo il successo di È stata la mano di Dio. Inoltre, sta per iniziare le riprese della terza stagione di Le indagini di Lolita Lobosco. La fiction, di cui è protagonista, con più di cinque milioni di spettatori a puntata è stata il programma televisivo più seguito dall’inizio dell’anno, dopo Sanremo. Una carriera ormai più che ventennale, in cui Luisa Ranieri non s’ è fatta notare per scandaletti e paparazzate, né per foto da calendario, né ha usato la famiglia per apparire sui giornali. Sappiamo che è sposata con Luca Zingaretti e che hanno avuto due figlie. Per il resto, parla la sua vita di attrice, e ora anche di produttrice.

Ventitré anni di carriera, una quantità di ruoli in teatro, al cinema, in televisione. Se si guarda alle spalle, cosa è cambiato nel suo modo di essere attrice?

Da un lato ho la sensazione di aver lavorato pochissimo, perché questo è un mestiere che ti diverte quando lo fai, non ci si rende conto. Dall’altro mi rendo conto che ormai ho tanta esperienza, ho mestiere. Per tanti anni ho fatto la protagonista, poi invece solo piccoli ruoli, poi di nuovo la protagonista. Nel frattempo, combattevo la mia avvenenza fisica, sentivo che era un limite per quello che volevo raggiungere, temevo di essere percepita come bella e non come brava. Così procedevo faticosamente, un passo avanti e dieci indietro. Infine, con la maturità, ho imparato a volermi bene, mi sono accettata. 

C’è stato un periodo in cui è rimasta senza ruoli e si è fatta prendere dal male degli attori, l’ansia della telefonata che non arriva?

In realtà non sono mai stata senza lavoro, ma quando mi sono messa con mio marito per un po’ ho smesso di fare televisione, mi sono limitata al cinema. Un rallentamento che è durato due o tre anni. Fino ad allora avevo avuto una carriera in salita, e lì invece ho frenato perché la mia priorità non era più recitare ma vivere la relazione appieno, come se fosse il mio film. Avevo ventinove anni, lui quarantuno. Era la storia più importante della mia vita, e questo l’ho sentito dal primo giorno che ci siamo incontrati. Luca è la mia metà, rispetta le donne, ha una strana sensibilità quasi femminile, e al contempo mantiene il suo status di maschio alfa. 

Suo marito era già molto famoso, come ha fatto a non farsi schiacciare dal pregiudizio di “essere la moglie di”?  

Sono stata molto attenta, fino a cinque o sei anni fa non facevamo nulla insieme, tenevamo separate le apparizioni, non andavamo negli stessi posti. Non volevo essere risucchiata e perdere la mia identità professionale.

Avete due figlie, Emma e Bianca. Come riesce a gestire lavoro e ruolo materno?

Ho iniziato a fare l’attrice in teatro e mi è rimasto questo bacillo. Ogni anno mi offrono una tournée, ma è troppo impegnativo. Le mie figlie sono una priorità. Ora poi è ancora più importante la mia presenza. Ho una figlia adolescente che fa i suoi strappi, e come genitore ti senti un po’ perso: fino a sei mesi prima c’era un rapporto, poi cambia tutto e devi restare al passo con quei cambiamenti. Io e Luca in vent’anni di relazione non abbiamo mai discusso, ma negli ultimi sei mesi è capitato perché bisogna avere un’unica visione educativa, e non è facile. Altrimenti i figli si insinuano nelle crepe.

Lei è napoletana. In quale quartiere è cresciuta?

Sono nata nel centro storico, ma ho avuto una madre molto irrequieta, a cui piaceva il cambiamento. Si è separata molto giovane, a ventotto anni e aveva già tre figli. È stata stabile con gli uomini, con il suo secondo marito che ci ha fatto da padre, ma per il resto c’era giusto il tempo di arrivare in un posto, costruire, stabilizzarsi e subito si traslocava.

Che tipo di famiglia era la sua, che lavoro facevano i suoi genitori?

Mia madre è una casalinga, ed è stata molto brava nel gestire una separazione burrascosa. Ha preferito che crescessimo nella serenità anziché tra le litigate. Mio padre, che non c’è più, era un imprenditore che lavorava nell’abbigliamento. Un carattere tormentato, distante, molto difficile. 

Lei e i suoi fratelli siete cresciuti con il secondo marito di sua madre. Com’era il rapporto con suo padre?

Un non rapporto, che non riuscivo ad accettare. In qualche maniera mi sono sentita abbandonata, e questo ha segnato la mia vita e mi ha portato a fare anni di analisi. Tante volte mi sono chiesta come sarebbe stato il dialogo con lui, ma poi mi sono detta che per come era fatto sarebbe stato impossibile. Ci sentivamo poco e anche se ci vedevamo non si riusciva a passare una bella giornata insieme. Però era una brava persona. Non si è mai rifatto una vita, ed è sempre rimasto innamorato di mia madre, mentre lei, dopo la separazione, aveva ritrovato l’amore e conviveva con il nuovo compagno. E noi con lui. Questo, inevitabilmente, per un genitore è destabilizzante. Crea confronti, insicurezze, gelosie. 

Lei è molto attraente e lavora nel mondo del cinema, da cui sono partite le prime denunce del movimento Me Too. Le è mai capitato di subire molestie?

Mai. Sono stata fortunata. Erano l’ossessione di mia madre. Non mi mandava mai in giro da sola ma con i miei due fratelli. Mi spiegava i pericoli, era molto attenta a come mi vestivo. Ho imparato a essere respingente, molto riservata, sulle mie. Sentivo di avere una responsabilità. Mia madre era sola con tre figli, non dovevo darle preoccupazioni. Una mia carissima amica mi ha detto: “Tu eri la più carina di tutte noi, però alla fine eri quella che restava sola, perché mettevi un muro talmente grande tra te e gli altri che veniva paura di forzarlo”.

Però si sentiva attraente, desiderata?

Ma no, una che non ha avuto un buon rapporto con il padre poteva sentirsi bella, amata? La percezione di sé ha a che vedere con quanto amore tuo padre e tua madre ti hanno guardata, e i miei avevano altri problemi da risolvere, erano due giovani che si erano sposati e che non andavano d’accordo ma avevano fatto tre figli in nove anni. 

In È stata la mano di Dio, il film a sfondo autobiografico di Paolo Sorrentino, lei interpreta una donna eccentrica, infelice, conturbante che, durante una gita in barca con amici e parenti si toglie il costume e prende il sole nuda. È stata una scena difficile da girare?

Non è facile stare nuda davanti a una troupe e ai colleghi. Ti senti senza pelle. Però Sorrentino è un grande maestro, e mi ha dato sicurezza. Due o tre sere prima di girare quella scena, ho avuto una specie di attacco di panico ma mio marito mi ha detto: “Quanto vorrei essere quella donna, essere lì al posto tuo. Goditi il momento, te lo puoi permettere”. Le sue parole mi hanno aiutato moltissimo. Se in questa fase della mia vita la mia femminilità è matura, più rilassata, lo devo a Luca. Col suo amore, col suo sguardo, mi ha sempre detto: “Va tutto bene, non devi temere, non devi dimostrare niente a nessuno”. Poi le figlie danno un senso di responsabilità: ho dovuto fare un processo di accettazione per insegnare loro l’accettazione. 

Le figlie hanno visto il film?

No! Ogni volta che su Netflix passa l’immagine del film con me sdraiata in costume e mi dicono “Mamma, vediamo ‘sto La mano di Dio”, io: “Noo, non lo vediamo, non è per voi ‘sto film”. Hanno visto tutti i film di Sorrentino, solo quello no!

E sua madre, e i fratelli?

Mi sono vergognata come una ladra, però… Mio fratello Alessandro, grande appassionato di Sorrentino mi ha detto: “Sai Lu’, il film è così potente, così bello, che quel nudo serve a raccontare la follia di lei, descrive una donna infelice, una depressa liquidata come pazza”.

Dopo il successo internazionale del film sono arrivate delle proposte dall’estero?

Ho fatto degli incontri, ma devo dire la verità: io non sono disposta ad andare in giro, non mi sento di intaccare la serenità famigliare conquistata. Ho fatto la carriera che desideravo e non ho mai avuto il mito dell’America. Per me la priorità era fare bene il mio mestiere, essere considerata brava oltreché bella. Ho quello che volevo, compreso una vita sentimentale serena, e me la sono costruita passo dopo passo.

Lei ha partecipato alla serata degli Oscar per il film di Sorrentino e Vogue America l’ha definita “donna più elegante del mondo”. Il suo stile è una costruzione personale o ha radici famigliari?

Quando ero a scuola dalle suore, facevamo un’ora di educazione domestica, e lì ho imparato a rammendare, fare l’uncinetto e l’ultimo anno anche a usare i modelli. Mi cucivo le gonne a quadri o a pieghe. Poi, da ragazza, ho fatto la modella e ho frequentato stilisti e amici molto raffinati, come solo i gay napoletani sanno essere. Ho sempre avuto un mio gusto che esulava dalla moda del momento: la seguivo, interpretandola a modo mio. E poi mia madre ci teneva, non l’ho mai vista con una cosa volgare, e la nonna materna era elegantissima: aveva ombrelli di seta che comprava a Parigi. Li usava per non prendere il sole.

Oltre al lavoro di attrice, lei ha intrapreso quello di produttrice di cartoni animati.

Ho iniziato a pensarci nel 2014, perché mi trovavo in difficoltà nello scegliere l’alimentazione giusta per le mie figlie. A Napoli abbiamo una cultura dell’iperalimentazione. Ne parlai con Sara Farnetti, specialista della nutrizione. E così ci è venuta l’idea di produrre un cartone animato divertente che insegnasse ai bambini e soprattutto alle mamme a non ingozzare i figli e non farsi tentare dal junk food. Food Wizards è andato in onda quest’anno, con oltre 27 milioni di visualizzazioni su RaiYoyo, e ha vinto molti premi. Con la Mad film di Napoli e un team tutto italiano stiamo già preparando la seconda serie. Ho scoperto quante persone lavorano per realizzare un cartone animato e ho imparato un mestiere.

Poi, sempre come produttrice, è impegnata con Le indagini di Lolita Lobosco.

Qui, invece, l’idea è nata perché c’è stato un momento in cui non riuscivo più a trovare ruoli da protagonista in televisione. Dicevano che non c’erano parti adatte a me, per la mia fisicità, per il mio viso. Allora la capocciona di mio marito si è messa in moto, e anche di nascosto ha iniziato a cercare. Del resto, facevamo già produzioni teatrali e documentari. Luca è un grande lettore, più di me, e ha trovato questo personaggio femminile, che secondo lui avrei fatto benissimo. Con la nostra Zocotoco Produzioni ha comprato i diritti dei libri e ha trovato gli sceneggiatori. 

E lei era d’accordo? Le piaceva il personaggio?

Io mi fidavo, perché in queste cose lui non sbaglia. Quando, sei mesi prima di iniziare a girare, Luca mi ha sollecitato a leggere prima i libri e poi le sceneggiature, mi sono preoccupata per il dialetto barese. Però poi ho superato lo scoglio, non dovevo parlare in dialetto stretto, ma dare un sapore comprensibile a tutti. È stato molto divertente.