“È un erudito”, ci avevano avvisato. “Un esperto del governo di Vichy”, “Ha una devozione per la letteratura degli irregolari come Luis Aragon, André Malraux e Drieu La Rochelle”, “È un poliglotta e in particolare scrive e parla un francese elegantissimo, del tutto privo di accento”, “Alle sue colazioni a Parigi c’era il gotha dell’intellighenzia francese”. Non basta: “È un uomo di squisita eleganza”. E per finire: “In quattrocento anni di storia è il primo accademico di Francia italiano, e va da sé, l’unico”. A quel punto, per non risultare intervistatori inadeguati, non resta che buttarsi negli studi dell’ultima ora, per assumere nuove nozioni e spolverare quelle che non si ricordava più avere.
Ed eccoci al giorno dell’incontro. Da gentiluomo qual è, anziché dare appuntamento in uno studio tra colonne di libri, il nostro intervistato ci convoca Dal Bolognese, il ristorante più mondano di Roma, in piazza del Popolo, di fronte al Pincio.
Pur non conoscendolo, lo riconosciamo subito: Maurizio Serra è in piedi, accanto alla chiesa di Santa Maria dei Miracoli, abbigliato con quel genere di eleganza portata con la naturalezza dell’uso quotidiano, non dandistica, che ormai si vede quasi solo nel quartiere Recoleta a Buenos Aires.
Postilla interpretativa: se un ambasciatore vissuto tra Londra, Berlino, Mosca, Ginevra, Parigi e Roma, uno storico e letterato, un professore universitario, un accademico di Francia, vi convoca nel ristorante di Roma più antropologicamente interessante, dove a ogni tavolo c’è qualcuno che si conosce per averlo visto sui giornali o in televisione o al cinema, significa che non è afflitto da narcisismo esclusivo, che non teme che vi distraiate a guardare chi c’è o non c’è. E significa che è un uomo di mondo con il gusto del bien vivre.
“Ho un perverso affetto per i perdenti” ci dirà poi, una volta al tavolo, per motivare la scelta dei protagonisti della sua corposa produzione storico letteraria. Dopo più di quarant’anni, Serra ha lasciato la carriera diplomatica e si dedica a studiare e scrivere, mettendo ordine nei ricordi, negli aneddoti, nei dettagli osservati in una così lunga e succosa carriera.
Serra è nato a Londra: “Mio padre Enrico è stato uno storico delle relazioni internazionali e in seguito capo dell’archivio del Ministero degli Esteri. Quando sono nato era docente universitario di diritto internazionale e giornalista. Lui e mia madre, una generazione compressa dalla guerra, avevano il grande desiderio di vedere il mondo. L’anno dopo la mia nascita i miei si sono trasferiti da Londra a Parigi. Ecco perché scrivo correntemente in tre lingue, oltre a parlare tedesco, russo e spagnolo”. Ma come fa? “Sono lingue che ho imparato da bambino. Devo solo stare attento a non perderle. Quanto alle altre, si sono nutrite di studi e vacanze”.
Oltre al successo dell’attività storico letteraria, il francese impeccabile con cui ha scritto gran parte dei suoi libri, tra cui le fondamentali biografie di Malaparte (premio Goncourt per la biografia), di D’Annunzio (Premio Chateaubriand e de l’Académie des Littératures) e di Svevo, gli è valso nel 2020 lo scranno di Accademico di Francia. Fondata nel 1635 dal cardinale Richelieu, l’Académie Française ha il compito di vigilare sull’uso della lingua francese e compila un dizionario che fissa l’uso della lingua. Ora gli accademici stanno lavorando alla nona edizione. Serra ha ottenuto il XIII dei 40 scranni, in precedenza appartenente a Simone Veil, deceduta nel 2017. Come accademico, rappresenta la quarta autorità dello stato francese.
Si leggono micidiali pettegolezzi ed efferate dicerie, sulla scia della crudeltà di corte così connaturata nelle élite francesi, che hanno minato o indebolito le candidature di prestigiosi aspiranti accademici. Victor Hugo riuscì a passare solo alla quarta votazione, mentre Serra è passato liscio al primo tentativo. “Io non sono così importante e conosciuto, non al punto da essere odiato, di me non si può dire ‘molti nemici molto onore’. Piuttosto, la mia candidatura andava nel segno di una cauta internazionalizzazione e anche però di un ritorno alle origini, con un cenacolo umanista laddove nell’Académie sono presenti anche militari, uomini di chiesa, scienziati, e personalità politiche come è stata Simone Veil, di cui sono successore e che fu la prima presidente del parlamento europeo”.
Gli chiediamo della questione vestimentaria, che affascina sempre tutti. Il fatto è che gran parte degli accademici non è ricca, mentre la divisa, necessaria all’insediamento e alle cerimonie ufficiali inclusi i frequenti funerali, è assai costosa. L’habit vert, codificato nel 1801 e poi fatto modificare da Victor Hugo nel 1848 per renderlo più confortevole, consiste in un frac con panciotto e sontuosi ricami verde e oro. Ognuno si fa confezionare il suo, e sui revers ricamati si scatena la sontuosa inventiva delle più grandi sartorie. La divisa di Serra è un regalo di Giorgio Armani, che così ha portato nel cuore dell’istituzione più esclusiva la creatività italiana. Chiedo una foto con la divisa, ma niente, “è vietato fino a quando non ci sarà la cerimonia di insediamento, dilazionata per via del Covid”. C’è poi la spinosa questione della spada sbanca-accademici (spesso a sobbarcarsi della spesa sono gli amici del neoletto), dotazione indispensabile che simboleggia il ruolo di difesa dei valori del consesso e del corpo del re. Serra se l’è cavata così: “Dal momento che lo statuto ammette le armi di famiglia, ho ricordato che avevo ancora la spada da ufficiale di mio nonno. Consegnata a un artigiano parigino perché, come previsto, ne impreziosisse l’impugnatura, vi ho fatto anche incidere un verso del Petrarca: “I’ vo gridando: Pace, pace, pace”.
L’ultimo libro di Serra è una raccolta di tre romanzi brevi, Amori diplomatici. Vi si racconta di diplomatici erranti alle prese con gli alti e bassi del sentimento amoroso, all’incrocio tra guerre, sommovimenti, vite da expat, diplomazia, con camei di personaggi storici e ambientazioni molto ben scelte. La prima storia si svolge in un Paese immaginario, la seconda a Roma, tra l’accendersi della Seconda Guerra Mondiale e la RSI, la terza in Svizzera nell’ambiente diplomatico e mondano delle Nazioni Unite. Benché di ambientazione diversa, i racconti hanno lo stesso tono che troviamo anche nelle biografie firmate da Serra: precisione di dettagli, capacità di descrivere periodi storici con venature letterarie, un serpeggiante umorismo utile a diluire atmosfere nostalgiche e malinconiche.
Assieme a un libro su Berlino Est (“Era come villaggio Potëmkin: tutto finto”), e un altro sull’esperienza moscovita prima della caduta del comunismo, sta scrivendo il seguito di Amori diplomatici, basato sull’immane bagaglio di ricordi, personaggi, atmosfere osservati in tanti anni di carriera. Tra i suoi lavori va anche segnalata una raccolta di scritti su Marinetti, pubblicata in Spagna. Maurizio Serra è dunque anche un ambasciatore culturale, nel senso che è come se gli avessimo delegato la divulgazione all’estero delle vite e delle opere di eminenti intellettuali italiani novecenteschi.
“Il mio itinerario di scrittore è andato dalla saggistica prevalentemente storica alla biografia. Saggistica che comunque prevedeva sempre un elemento di studio delle personalità. Tra i miei libri, ho amato particolarmente L’esteta armato” ci dice. “Conteneva alcune microbiografie, soprattutto di argomento tedesco, con una riflessione sulla Germania degli anni Trenta. Figure di poeti-condottieri, intellettuali letterati di animo ribelle che credevano nell’Europa più di quanto ci si creda oggi, e passarono all’azione ritenendo di poter contribuire all’abbattimento delle ingiustizie che li circondavano”.