Che storia, la famiglia Bulgari! A scoprirla, così come la raccontano Paolo e Nicola in Roma, Passion, Jewels (Electa), si capisce che la marcia in più, la spinta a trasformare una buona impresa commerciale in un marchio di gioielli celebre nel mondo, sia stata nella predisposizione internazionale provocata dall’essere figli e nipoti di un emigrante, meno incollati alla terra d’origine di quanto avrebbe potuto essere un medio commerciante di successo del centro di Roma. Nel 1908, il diciottenne Giorgio Bulgari, padre dei suddetti Paolo e Nicola, va a Parigi. È figlio di Sotirio, un giovane greco dell’Epiro che, in fuga dalla guerra coi turchi, dopo varie peripezie nel 1881 si era trasferito a Roma, dove aveva finito per creare un piccolo impero fondato sulla creazione di oggetti d’argento. Giorgio, scoprendo le vetrine delle più belle gioiellerie del mondo sparse tra Place Vendôme e Rue de la Paix, decide di stravolgere l’attività paterna, dedicandosi alle creazioni di alta gioielleria. Da allora, tutto il jet set mondiale passerà dalla boutique di via Condotti, e a sua volta il mondo verrà attraversato dai discendenti di Sotirio, a caccia delle più straordinarie gemme, in cerca di ispirazione creativa, di nuove amicizie, di clienti prestigiosi. Nel libro, in due lunghe interviste, i fratelli Bulgari raccontano la storia privata della famiglia intrecciata a quella dell’emigrazione, a sua volta intrecciata a quella della costruzione di un’azienda, alla storia del cinema, dell’arte, del gusto, dell’eleganza, del collezionismo, della dissipazione e della creazione di fortune, e ovviamente anche a quella delle pietre preziose, che sono una delle poche cose durevoli nelle vicissitudini e nei rivolgimenti del mondo. Smeraldi colombiani attraversano i continenti passando dal 1400 a oggi attraverso caravelle, forzieri di maharajah, casseforti, polsi di ricche signore di ogni continente. Diamanti si perdono in locali romani e rispuntano decenni più tardi in aste internazionali. Pietre preziose aiutano non solo a risolvere problemi di perdite al gioco ma anche a corrompere carcerieri nazisti e liberare (il conte Vittorio Cini) da Mauthausen… Appunto: che storia la famiglia Bulgari! Ne parliamo con Nicola, un elegante signore che ha appena passato i settant’anni, appassionato di musica jazz e classica, di storia dell’argenteria, di monete antiche, di arte, di auto d’epoca. Tanto da non parlare mai di sé, spostando continuamente la conversazione sulle cose belle che la vita gli ha dato e gli dà modo di vedere.
Nel libro lei e suo fratello citate elegantissime miliardarie americane che indossarono i vostri gioielli, da Barbara Hutton a Dorothy di Frasso a Clare Boothe Luce. Come sono le miliardarie americane di oggi?
Non me ne parli. Lei si immagina Melinda Gates, la moglie di Bill, con dei bei gioielli? O la moglie di Mark Zuckerberg? L’eleganza americana è morta con Rachel, la vedova di Paul Mellon. Io ho figlie che vivono in America, e amiamo quel paese, ma mi capita di andare in case di persone molto ricche e vedo cucine immense, lucide e vuote, perché si mangia sempre fuori e nessuno sa nulla del cibo, del vino, del gusto di vivere. Si sente la mancanza di quelle che una volta si chiamavano “finishing school”.
Quali sono le donne su cui oggi vedrebbe bene i gioielli Bulgari?
Sono andato al party di Vanity Fair dopo la cerimonia degli Oscar. Julianne Moore e Kate Blanchett sono perfette. Ma anche Lady Gaga, che al party degli Academy Awards ha cantato meravigliosamente le vecchie canzoni di The sound of music e poi è stata abbracciata da Julie Andrews.
E le italiane?
Premetto che per me l’età non conta, quello che è importante è la personalità. Perciò direi la collezionista d’arte Marida Berlingieri, Jean Colonna, e poi Lucrezia Lante della Rovere, Isabella Borromeo, Polissena di Bagno, Ginevra Elkann, Afef…
Se una donna dovesse scegliere di indossare un solo gioiello, quale dovrebbe essere secondo lei?
Penso che un bell’anello su una bella donna sia perfetto. Una cosa che l’accompagna dalla mattina alla sera. Però mi piacerebbe che le donne tornassero a usare le spille. Ieri mia figlia ne ha messa una di sua madre e mi sono commosso.
Quali pietre preferisce?
I diamanti, ma anche gli zaffiri, che hanno una palette di colori e sfumature che va dal bianco all’arancio al nero.
E gli uomini?
Mi vengono in mente i ritratti del Bronzino: nel Rinascimento gli uomini portavano i gioielli magnificamente. Per non dire dei maharajah indiani. Gemme al posto dei bottoni, collane, anelli. Oggi solo certi rari eccentrici possono permettersi di portarli.
Lei è un appassionato di monete antiche, che ha fatto montare in una famosa linea di gioielli Bulgari. Ed è anche appassionato di argenteria. Come mai nell’arco di una generazione è passata di moda?
Io penso che sia perché va lucidata, e perché non c’è l’abitudine, come fanno gli inglesi, di usarla comunemente. Amo talmente gli argenti che nel 2003 ho regalato alla nuova chiesa progettata da Richard Meier, alla periferia di Roma, un intero apparato di arredi sacri in argento.
In una storia travolgente come quella del marchio Bulgari, intrecciato al jet set della Dolce Vita, ai favolosi regali di Richard Burton a Elizabeth Taylor, ai grandi collezionisti mondiali di gioielli, c’è qualche errore che si rimprovera?
Parecchi, naturalmente. Ma ce n’è uno di cui un po’ mi vergogno: nei primi anni ’70, quando eravamo entrambi molto giovani, venne in negozio Andy Warhol, cui piacevano molto i nostri gioielli. Mi propose uno scambio con le sue tele. Ma non mi piaceva il suo stile, e rifiutai. Certo non immaginavo avrebbero raggiunto le quotazioni di oggi!