Quando Paolo Mieli era direttore del Corriere della Sera, per strada lo fermavano perorando le cause più strane, persino la lotta contro i piccioni. Soprattutto a Milano, i lettori lo vivevano come un governatore dotato di super poteri. In questi anni da Presidente della RCS Libri, non poteva nemmeno scendere a tutta velocità lungo una pista da sci senza che qualcuno lo affiancasse per chiedergli la pubblicazione del romanzo del figlio scrittore incompreso, o quella delle proprie memorie.
Per via delle frequenti apparizioni come commentatore politico nei principali talk show e dei recenti editoriali di politica sul Corriere della Sera, le persone sedute nello stesso scompartimento del treno lo avvicinano per chiedergli dove andrà l’Italia, se si faranno le riforme, se creda in Renzi.
Essendo stato sposato diverse volte, ed essendo padre genetico o putativo di vari figli, molte persone che lo conoscono, anche solo superficialmente, lo vedono come consigliere sentimentale e pedagogico. Sapendolo al corrente dei congegni di molte aziende editoriali e dei segreti della politica, schiere di conosciuti e sconosciuti si rivolgono a lui come fosse un consulente del lavoro o uno spin-doctor.
“E come storico?” mi informo. Come storico che tiene seminari all’Università degli Studi di Milano, editorialista della trasmissione di Rai3 Correva l’anno, autore di saggi divulgativi tra cui L’arma della memoria, in uscita il 1° ottobre da Rizzoli, la fermano per strada? Alla gente interessa conoscere l’altro lato della medaglia, l’interpretazione della storia che nessuno gli ha ancora raccontato?”. Mieli risponde con una risata. “Certo! Mi fermano per discutere di Attila e della sua cattiva fama ingiustificata dalla realtà dei fatti”.
Con L’arma della memoria – Contro la reinvenzione del passato, Mieli indaga con ricchezza di esempi sul suo tema storiografico preferito, cioè la manipolazione delle vicende storiche sia per fini di lotta politica sia per mancanza di documentazione. Nel libro sono additate le malattie contemporanee: la diffusione di notizie distorte da parte della “banda complottista”, cioè dei teorici del complotto (per esempio coloro che ritengono che l’assassinio di Kennedy sia stata una cospirazione governativa), e “il tentativo di trasferire in un’aula di tribunale casi sui quali neanche gli storici di professione sono riusciti a far luce in modo definitivo. È la storiografia dei magistrati (ma anche dei pentiti e dei giornalisti) che ha abbondantemente preso piede e produce risultati destinati a trasferirsi con sciatto automatismo nei libri di storia veri e propri”.
Molti capitoli sorprendenti sono dedicati a una radicale revisione delle nostre certezze culturali, spesso costruite su superate reminiscenze scolastiche fatte di “libri di storia sbadatamente eurocentrici, che non raccontano di un sud Italia annesso come fosse l’Africa, né spiegano la vicenda della Sindone: difficile credere che sia davvero il lenzuolo in cui fu avvolto il corpo di Cristo, quando la prima notizia che se ne ha risale a 1000 anni dopo la crocefissione. La storia è una ruota che gira sempre, dove non esistono verità rivelate. Tutto va rimesso in discussione, compreso il mio libro”.
Quali sono, secondo Mieli, le notizie storiche più contraffatte di sempre? “Quelle sulla seconda guerra mondiale, nata da un accordo tra Stalin e Hitler, e poi diventata una seconda guerra quando il Patto Molotov-Ribbentrop si ruppe, con Stalin passato improvvisamente dalla parte dei buoni. Il Medioevo, raccontato come premodernità oscurantista e che invece fu ricco di innovazioni e scoperte attribuite erroneamente alla cultura islamica. E tutte le dinamiche dell’Atene del V secolo, paradiso della democrazia che precipita nel processo a Socrate, il più grande filosofo dell’antichità costretto a suicidarsi”.
Mieli sostiene che “la memoria deve essere un’arma e la scuola deve insegnare a utilizzarla. L’uso smodato di internet, per esempio, contribuisce a creare un sapere illusorio. La conoscenza non può essere disgiunta dalla lettura e dallo studio di libri di carta. Il web ci espone a ogni genere di manipolazione e sta sostituendo persino la memoria personale. Finisce per produrre danni quasi irreparabili alla coscienza storica generale, perché intossica il ricordo collettivo anche dei fatti più prossimi. Non si leggono più i libri con l’attenzione che c’è stata per 500 anni. Abbiamo l’illusione di sapere tutto e rischiamo di non sapere più niente”.
Non ci resta che iniziare a documentarci leggendo L’arma della memoria. Così, se incontrassimo Paolo Mieli nel suo peregrinare in lungo e in largo per l’Italia, di convegno in conferenza in festival culturale, sapremmo ingaggiarlo sulla revisione dei luoghi comuni storici, oltre che sui nostri libri non pubblicati, le nostre grane di lavoro, i nostri dolori sentimentali, i retroscena della politica.