Camilla Baresani

Sommario

VALERIA GOLINO – La potenza del desiderio

- Grazia - Interviste

Una è viva e vegeta, l’altra è una figura letteraria: eppure ci sono tratti comuni tra Valeria Golino e Modesta, protagonista di L’arte della gioia, il fluviale, avvincente, scandaloso romanzo scritto da Goliarda Sapienza. Valeria, probabilmente l’attrice italiana contemporanea che ha ottenuto il maggior numero di riconoscimenti (parlando di premi) ha incontrato Modesta leggendone l’epopea ormai più di 20 anni fa. Immaginiamo che vi si sia riconosciuta per via di quei tratti comuni, ed è riuscita a trasformarne la vita in una travolgente serie televisiva in sei puntate, che tutti ci butteremo a guardare, sia chi ha letto il romanzo sia chi non ne conosceva l’esistenza. Per Golino, che non recita nella serie, è la terza regia della carriera. Come già per i film Miele ed Euforia, L’arte della gioia debutta al Festival di Cannes, questa volta nella selezione ufficiale. Potremo presto vederla al cinema in due parti (la prima dal 30 maggio e la seconda dal 13 giugno) e in seguito su Sky. Dicevamo dei tratti in comune. Modesta nasce in Sicilia in un contesto miserabile e ribalta le sue sorti attraversando buona parte del Novecento con scaltrezza, sentimento, desiderio di assaggiare e godere di tutto il bello della vita. Valeria Golino nasce in una famiglia solidamente borghese, mamma greca e papà napoletano. Origini ed esperienze distantissime, eppure sia in Modesta sia in Valeria osserviamo quello spirito vitale che ha un’apparenza indolente, gli occhioni profondi che lanciano sguardi perturbanti, una natura spontaneamente seduttiva che emerge dalla voce e dalla gestualità, un sano spirito primitivo nel senso che conosce le convenzioni ma impara ben presto ad aggirarle e tornare alla natura dei desideri.

Goliarda Sapienza è morta nel 1996, vent’anni dopo aver terminato L’arte della gioia. Nessuna casa editrice aveva accettato di pubblicarla e lei non ha potuto godere del successo internazionale del suo romanzo. Quando ha deciso di trasformarlo in una serie televisiva?

A 18 anni ho conosciuto Goliarda. Era la ex moglie di Citto Maselli, il regista con cui ho girato Storia d’amore, film grazie a cui ho vinto la Coppa Volpi, il premio per la migliore interpretazione femminile, al Festival del Cinema di Venezia. Quel film, che mi ha portato tanto bene, ha anche creato un incontro speciale. Lei, scrittrice e attrice senza una lira, insegnava al Centro Sperimentale di Cinematografia. Maselli la incaricò, fors’anche perché guadagnasse qualcosa, di farmi dei corsi di dizione: venivo da Napoli ma dovevo interpretare una borgatara romana. Per due mesi andai da lei, a casa, tre volte alla settimana. E lì ho conosciuto suo marito, Angelo Pellegrino, che ha cercato tutta la vita di aiutarla a pubblicare il romanzo, e che ne ha ereditato i diritti.

E poi cosa è successo?

Quando, dopo la morte di Goliarda, L’arte della gioia ha avuto un grandissimo successo in Francia, dopo tanti rifiuti ha finalmente trovato un editore italiano. Ma a quel punto tantissimi produttori hanno opzionato i diritti del libro, poi li lasciavano scadere. Finché Angelo Pellegrino ha deciso, ricordandosi di me ragazzina, che se nel progetto del film ci fossi stata io, avrebbe concesso i diritti alla mia produttrice, Viola Prestieri.

Come mai non recita?

Non avevo l’età giusta per nessuna delle parti. E per l’unico ruolo che avrei potuto fare c’era un’altra attrice che poteva farlo meglio di me, Valeria Bruni Tedeschi, che interpreta la principessa Brandiforti. Io, oltre alla regia, ho lavorato alla riduzione assieme alle leali ed eroiche sceneggiatrici con cui ho fatto gli altri miei film, Francesca Marciano e Valia Santella, a cui si sono aggiunti, un anno dopo, Luca Infascelli e Stefano Sardo. Abbiamo scritto per due anni e mezzo. Questo è un progetto partito nel 2019 e pronto ora. Ci ho lavorato tantissimo, sono invecchiata del doppio dei cinque anni che ci sono voluti!

Però ha trovato un trio di attrici eccezionali, che sembrano nate per i ruoli che interpretano.

Valeria ha la prepotenza di quelli che sono nati ricchi: non devono chiedere, devono solo comandare. Io potevo fare quello? Lei è prepotente ma fragile e riesce a trasformare la propria nevrosi nella nevrosi di una donna dei primi del Novecento. Tecla Insolia è straordinaria nel ruolo di Modesta, sa rendere la forza di quelli che ce l’hanno fatta venendo dal niente. Il pianto opportunista, lo stupore, il saper imparare, e soprattutto l’assenza di senso di colpa. Solo forza. E Jasmine Trinca, la badessa, che sembra troppo bella per una madre superiora (ma poi si capisce perché), esprime perfettamente una sensualità pericolosa.

È una storia piena di erotismo, un erotismo totale, che oggi diremmo fluido. Goliarda Sapienza era un’anticipatrice?

Sicuramente è stata una femminista, nel senso che rivendicava l’arte della gioia come forma di liberazione dai pregiudizi sulle donne. Nel romanzo si trovano tutte le forme di erotismo, fluido, naturale, animalesco, selvaggio, scandaloso.

Infatti, la trama è irresistibile. Ci si innamora dei personaggi.

Modesta è anticonformista, una giocatrice che rilancia sempre, che ama le sfide, non si accontenta, è affamata di tutto, anche di cultura, ma anche furba e spietata. Sa amare ma non bisogna ostacolarla.

E c’è una cosa che, secondo me, è importante: nel libro di Goliarda e nel mio film, gli uomini non sono né demonizzati né odiati.

La serie racconta solo la prima metà del romanzo. Girerà anche la seconda stagione?

No, no. Io voglio vivere. Penso di aver fatto una cosa abbastanza compiuta. Se ci sarà il seguito, magari girerò un episodio.

Recentemente Grazia ha intervistato la sua amica Isabella Ferrari, che ha detto di non aver mai desiderato di mettersi alla prova come regista: le piace fare l’attrice. Come mai, lei ha deciso di dedicarsi alla regia?

Dirigere non è nella natura di Isabella. Lei vuole essere diretta e guardata: quello la fa vibrare. Guardare gli altri le interessa meno.

Il regista invece osserva l’attore anche nel suo versante umano, e poi si dedica alla forma, all’inquadratura, alla luce. Ogni scena può essere raccontata in mille modi e il regista lo fa secondo il proprio punto di vista. Per me la cosa più interessante del cinema è proprio quella. E mi interessa da quando avevo 15 anni. Avendo lavorato con tante persone sul set ho assorbito e cercato di capire il mestiere.

Un po’ come Modesta, che sin da bambina osserva gli altri e impara a catturare quello che le serve per migliorare la propria vita.

A differenza di lei, ho subìto un senso di colpa che mi ha fatto aspettare troppo a lungo. Una sensazione di inadeguatezza, di vergogna paralizzante. Anche perché la mia vita comunque andava avanti: lavoravo, ho sempre lavorato. Ma ho aspettato anche per pudore. Il mondo della regia è ancora quasi totalmente maschile. Da ragazza pensavo che gli uomini, i grandi scrittori, i grandi pittori, avessero fatto di più. Me lo dicevo anche con una punta di stizza, credevo che fossero meglio di me. Mi ci è voluto tanto tempo per capire che bisogna imparare a pensarsi non in rapporto agli altri, ma in rapporto a sé stessi, sennò il confronto ti schiaccia. Ancora oggi, è solo la percezione degli altri che mi dà la sicurezza di aver fatto qualcosa di buono. Insomma, questo pregiudizio me lo sono portato addosso e credo sia anche per questo che ho aspettato così a lungo per diventare regista. Però la mia natura, pur essendo attrice da quando ho 16, 17 anni, la mia vera natura è nel guardare. Poi mi sono adagiata nell’essere guardata.

Con una carriera così lunga e fortunata, cosa ha imparato?

Forse non mi ripaga più la consapevolezza dell’approssimazione in cui nuoto. Una specie di sapersi arrangiare, un istinto, un tipo di connessioni che mi fa andare avanti da sempre – che fosse la scuola, che fosse il primo film, il settimo film, il quindicesimo film. O mi libero e mi svezzo dalla pigrizia della conoscenza, e approfondisco, oppure resterò sempre nel medio.

E nell’amore cosa ha imparato?

Nell’amore ho avuto delle delusioni. Quando ho sofferto è stata una cosa lancinante e precisa. Non ho più la stessa sventatezza. E quello che ho imparato è quasi un disimparare. Ho disimparato a innamorarmi.

Oltre a soffrire per amore, ha fatto soffrire?

Sicuramente sì. Mai per crudeltà. Per instabilità, per voglia di capire.

Lei ora ha un fidanzato molto più giovane. Non è la prima volta. Tendenzialmente, le piacciono uomini più giovani?

No, no. È successo, due volte. Due o tre.

Ha mai desiderato una donna?

Le persone con cui sto meglio sono donne: ho dei dialoghi più approfonditi, più liberi, sono belle… Ma c’è troppa comunione. L’erotismo per me nasce anche dal mistero, dagli equivoci che si creano tra uomo e donna.

Però in L’arte della gioia ci sono scene erotiche molto intense tra Modesta e altre donne.

È vero. Ma ha visto quando arriva Carmine, interpretato da Guido Caprino? Finalmente, dopo aver girato per due mesi solo scene di erotismo femminile, ero così contenta che ci fosse un maschio! Ho messo persino una musica diversa, quasi marziale.