Illustrazione di Valeria Petrone
Non sono molti i vini che hanno il proprio nome nel titolo di un romanzo. Ma Gaetano Cappelli, autore di Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo, attorno al successo di questo vitigno ha costruito una trama piena di colpi di scena dal tono picaresco e scanzonato. “Oh, ti ricordi quando nessuno lo voleva, quando per fare gli sciccosi si beveva Pinot grigio o Mateus addirittura. Che truzzi! Be’, adesso è considerato tra i quattro cinque vini più interessanti… lo sai no”, si dicono due personaggi del libro, dopo aver saputo che un conoscente di recente ricchezza ha comprato i vigneti di “mezza Barile”. Barile è un paese del Vulture arroccato sul tufo, popolato nell’antichità da albanesi in fuga dalle invasioni turche. Soprattutto, Barile è la zona di produzione dell’Aglianico. La Basilicata e questi due personaggi sono un po’ tutti noi. Chi non ha trovato noioso, poco allettante, o addirittura fonte di imbarazzo il cibo o il vino o le tradizioni del luogo da cui proviene, sognando qualcosa che arrivasse da mondi lontani e che, di solito sbagliando, riteneva più up-to-date? C’è un’età della vita, tra l’adolescenza e i trent’anni, in cui rifiutiamo le nostre origini. Capita che ci vergogniamo dei nostri genitori (li vorremmo come il tale o il talaltro), che rifiutiamo il gusto delle cose con cui siamo cresciuti, che vogliamo esplorare il mondo e appartenergli cancellando il nostro passato e le radici, come se fossero un delitto inconfessabile. È l’età in cui ancora non si conosce il sapore della nostalgia. Su questo meccanismo centrifugo che si impossessa delle nostre giovani vite si sono scritti infiniti romanzi e film. Storie di provinciali che vivono “sognando California”, come nella canzone dei Dik Dik, e poi un giorno quel sogno si spegne o va a monte o si realizza, ma in questo ultimo caso succede sempre qualcosa che riallaccia il protagonista al passato che voleva occultare. È la letteratura del “sogno infranto”. Ci sono quelli che restano, quelli che se ne vanno, quelli che tornano. Sognano sushi, appartamenti in grattacieli di vetro con vista sugli uomini formica e su altri grattacieli, fiumi di champagne e poi si trovano a rivalutare un cartoccio di alici fritte, la cascina dei nonni, l’Aglianico. Un mondo, un vino, una casa defilati, non per tutti, eppure universali.
Pubblicato il 15 ottobre 2016