Nella scrittura il vero virtuosismo non è lo sfoggio di parole lambiccate, ricercatezze lessicali fini a se stesse, metafore pirotecniche. Il virtuosismo è avere una varietà di toni e saperli padroneggiare senza che uno sopravanzi l’altro e senza far sussultare il lettore a ogni variazione dello sguardo. Naturalmente la capacità di alternare perfidia e tenerezza, partecipazione sentimentale e punto di vista gelido che colga ogni minima crepa della quotidianità è una caratteristica dell’animo, oltre che una dimostrazione di maestria letteraria. Clarice Lispector questo dono l’ha avuto come scrittrice – bastino per tutti gli splendidi racconti di Legami familiari – ed evidentemente l’ha avuto anche nella vita privata, come dimostra La vita che non si ferma, piccola e preziosa scelta di lettere scritte tra il 1941 e il 1975 (Archinto, € 17). Lettura necessaria per gli appassionati della grande scrittrice ebreo-russo-brasiliana, questo carteggio può essere una scoperta per chi non ne conosca la scrittura, una sorta di scorciatoia al suo mondo mistico, sentimentale, pietoso e spietato, spesso umoristico. La Lispector, nata in Ucraina nel 1920, approdò in Brasile con la famiglia a soli due anni. Nel ’43 pubblicò il suo primo romanzo e sposò un diplomatico; con lui restò per anni lontana dal Brasile, abitando in una gran quantità di paesi, dove finiva sempre per sentirsi un’estranea. Nel ’46 scrive da Berna alla sorella: “Buffo, ma a pensarci bene, non esiste un vero luogo dove vivere. Tutto è terra altrui dove gli altri vivono contenti”. Poteva comunicare con la famiglia, gli amici scrittori e gli editor solo per posta: “In verità quando scrivo una lettera getto un amo lunghissimo la cui esca raggiunge Rio de Janeiro per pescare una risposta”. Nella corrispondenza troviamo al meglio tutti i suoi toni: lo sprezzo sbrigativo (“Il cane è la persona più pura di Napoli… Se vedessi com’è sporca questa città” – lettera del ’45 alla sorella); l’introspezione spiritosa (“Persino eliminare i propri difetti può essere pericoloso – non si sa mai qual è il difetto che sostiene il nostro intero edificio.”); lo spaesamento di fronte ai propri squilibri e nostalgie: (“meglio seguire il flusso delle cene, delle commemorazioni e delle cretinate”). C’è, poi, l’osservazione fuori da sé, come a proposito delle “stupidaggini” ascoltate durante un mese di viaggio: “Gente piena di certezze e di giudizi, di vita vuota e intasata di piaceri sociali e raffinatezze. E’ evidente che va conosciuta la persona autentica che c’è sotto. Ma, per quanto protettrice degli animali io sia, è un compito difficile”. E a proposito del suo “successo mondano”, ne racconta gli effetti su di lei e sul marito: “io e Maury siamo rimasti pallidi, stremati, guardandoci l’un l’altro, detestando le moltitudini e con in testa progetti di odio ed epurazione. Dio mio, se non ci si protegge, come si viene depredati. Tutti sono intelligenti, buoni, educati, fanno l’elemosina e leggono libri; ma perché non se ne vanno all’inferno?”. Clarice Lispector fu una donna bella ed elegante; secondo il suo traduttore americano assomigliava a Marlene Dietrich, eppure la sua bellezza sofisticata non la faceva essere in pace col mondo: “Ero moralmente esausta – ho l’impressione che quando sarò vecchia passerò il tempo a imprecare” scrisse poco dopo il matrimonio. Ma non sarebbe mai invecchiata: morì cinquasettenne, e le lettere degli ultimi anni, dirette al figlio Paulo e alla figlia infante del suo psicanalista, furono di una dolcezza sconfinata rispetto a quelle di gioventù.