E’ l’unico tema davvero universale, più della salute, del denaro, del sesso: l’amore. Quasi impossibile evitare che, in almeno un frangente della propria vita, ci si trovi affetti da una forma più o meno felice di questo stato d’animo. Il tema è talmente interessante che si prova a studiarlo anche in termini radiologici: è di un paio di giorni fa la notizia che psichiatri e neuroendocrinologi dell’università di Pavia svolgeranno una ricerca su cosa accade nel cervello delle donne che patiscono amori non corrisposti. Alcune di queste infelici verranno sottoposte a cicli di risonanze magnetiche cercando di svelare i misteri delle loro fatali pulsioni amorose, da quelle di più comune infelicità (amare una persona sposata) a quelle patologiche, dedite a chi non si sogna di corrispondere all’ossessivo interesse dell’innamorato. Un saggio di Enrichetta Buchli, Il mito dell’amore fatale (Baldini Castoldi Dalai, euro 16,50), indaga sull’illusione di chi, convinto di amare irrimediabilmente un soggetto riluttante, si nasconde di essere affetto e posseduto da una sorta di “amore per l’amore”, da una forza oscura che anziché creare mira a distruggere. L’amore fatale è quello che idealizza l’amato, lo sottopone a una devozione religiosa e di fatto lo sostituisce alla divinità. Col risultato che l’innamorato preso da una sorta di delirante vertigine finisce per annullare la soggettività dell’altro, precipitandolo nel baratro delle aspettative non soddisfatte. E’, in definitiva, una forma d’amore che sfocia nella morte. Il prototipo di tutte le storie di questo genere si trova nella vicenda di Tristano e Isotta: “Hanno bisogno l’uno dell’altro per bruciare, ma non dell’altro come è in realtà; e non della presenza dell’altro, ma piuttosto della sua assenza”. E ancora: “Ciò che essi amano è l’amore, non loro stessi… Tutto ciò che si oppone all’amore lo garantisce e lo consacra nel loro cuore”.
Nel saggio della Buchli troviamo anche delle proposte (soluzioni pare una parola eccessiva) per vivere amori adeguati ai tempi. Se in passato i modelli parevano essere solo due – l’amore infelice dei sedotti e abbandonati, e quello borghese del matrimonio – oggi dilaga l’amore “mordi e fuggi”. La Buchli, filosofa e psicoanalista, fa riferimento alla “modernità liquida” e all’“amore liquido”, così come definiti dal sociologo Zigmunt Baumann: nella nostra contemporaneità, i rapporti personali e in particolare le passioni si fanno sfuggenti, inafferrabili, mutevoli; sono amori “tascabili”, vissuti in un’atmosfera da panta rei, in un continuo scorrere eracliteo. Così, nell’ultimo capitolo, l’autrice contrappone alla tirannia dell’amore fatale e della religione dell’amore una sorta di prosaico “amore civile” basato su autonomia (ma non autosufficienza), dialogo e negoziazione. In pratica una sorta di parlar chiaro, che è invece del tutto assente nel mito dell’amore fatale “che si nutre di non detti, di presupposizioni, di presagi e sensazioni, pre-sentimenti, di interpretazioni-forzature”.
Il saggio, ricco di testimonianze raccolte durante l’analisi, di storie d’amor fou raccontate nei film e nei romanzi, di citazioni mitologiche, di riferimenti filosofici, si legge in un soffio e non risulta meno avvincente di un romanzo. Finisce per essere una sorta di prontuario per svelare mozioni e meccanismi personali, ma anche per fare bella figura in società quando càpiti – come sempre – di ascoltare storie di amori infelici e dover dare consigli o fornire interpretazioni. Del resto, anche chi non ha mai vissuto l’incubo di prolungati amori autolesionistici ne ha un’esperienza indiretta quantomeno letteraria; e, dal mito di Orfeo a Madame Bovary, da San Paolo a Sade, il libro di Enrichetta Buchli è anche un catalogo di testimonianze sugli amori fatali.