Camilla Baresani
Autore: Guillermo Rosales
Titolo: La casa dei naufraghi
Editore: Fandango Libri
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: €15,00

Sommario

GUILLERMO ROSALES – La casa dei naufraghi

- Il Sole 24 ore - Domenica - Recensioni
La schizofrenia è uno dei temi letterari più fecondi e affascinanti. L’ambivalenza di istinti distruttivi e costruttivi comune a tutti noi è resa estrema, dannata e senza possibilità di redenzione. Per i lettori è un abisso a portata di mano, molto più di quello raccontato nelle storie di malavita e di serial killer. Von Hoffmansthal, Joyce, Schnitzler, Stevenson, McGrath… sono innumerevoli gli autori che ci hanno fatto provare il brivido della patologia di menti capaci di eccezionale lucidità e al contempo di violenza primitiva. Se poi alla schizofrenia si aggiunge il tema della dittatura, l’incubo del comunismo reale e le sue conseguenze sulle personalità più fragili e creative, ci si trova immerso in un’atmosfera che più proficuamente letteraria non si può. È il caso di La casa dei naufraghi di Guillermo Rosales, romanzo autobiografico considerato un classico della letteratura cubana. Pagine intense, in cui l’autore si mette a nudo e racconta l’ultimo brandello della propria vita, prima del suicidio: esule a Miami, ospitato in una boarding home, struttura privata in cui vengono ospitati relitti umani – chi pazzo, chi vecchio e basta, chi abbandonato dalla famiglia; gente inabile e senza speranze da cui però si può spremere il denaro dell’assegno sociale, ospitandola nelle peggiori condizioni. Un mondo disperato in cui anche gli aguzzini conducono esistenze marginali. Per vittime e carnefici, l’unica cosa che ha senso è fumare, mangiare, liberarsi le viscere, accoppiarsi, menar le mani, dormire.
William Figueras, alter ego dello scrittore, ha trentotto anni “nell’anno in cui muore Truman Capote”. Girovaga per le strade di Miami, dentro e fuori dalla boarding home, con l’unico bagaglio di una valigia piena di libri e qualche misero indumento sporco. Di sé dice: “Non sono un esiliato politico. Sono un esiliato totale”. I parenti cubani speravano di accogliere a Miami “un futuro uomo di successo, un futuro commerciante, un futuro playboy”. Invece sbarca un rottame, uno scrittore che, dopo essere stato accusato di morbosità, pornografia e irriverenza verso il Partito Comunista, un giorno è impazzito e ha cominciato a “vedere diavoli sulle pareti e a udire voci che m’insultavano, e ho abbandonato la scrittura”.
“Non credo in Dio. Non credo nell’uomo. Non credo nelle ideologie” ha scritto Rosales. Sono parole che valgono per Figueras ma anche per le persone che popolano le strade di Miami, l’altra protagonista del romanzo. Una città totalmente cubana, dove alcuni incarnano il sogno borghese che li ha fatti fuggire dall’isola (“i trionfatori”), ma tutti gli altri sono feriti in modo irreversibile dalla dittatura castrista, e l’unico collante sociale sembra essere l’odio per il comunismo.
Il romanzo, che è dunque soprattutto una testimonianza, non è solo il resoconto lugubre di uno stato mentale autodistruttivo (“resto sommerso dall’enorme vuoto della mia esistenza”): a un certo punto si impenna, accendendosi di speranza. Nella vita del protagonista entra l’amore per un’altra ospite della boarding home. Ma il sogno si infrange perché non sono più padroni della propria esistenza. Nessuno li considera esseri umani: il loro valore sta solo nell’assegno di assistenza sociale.
Il tono della scrittura è sempre intimo, sommesso, mai piagnucoloso. La voce narrante cattura con la lucida accettazione della propria estraneità esistenziale. Di Rosales rimane un solo altro romanzo (gli altri li ha bruciati nel corso degli anni e degli stati mentali), che Fandango pubblicherà l’anno prossimo.
La casa dei naufraghi, Guillermo Rosales, trad. di Chiara Brovelli. Fandango, pagg 120, € 15