Uno scrittore tedesco, tossicodipendente, alcolizzato, finito più volte in galera e in manicomio, decide di non espatriare durante la dittatura nazista, barcamenandosi per non dispiacere al regime senza tuttavia assecondarlo. Alla fine della guerra, nel ’45, riceve un fascicolo redatto dalla Gestapo. In quei documenti c’è la storia di una coppia di berlinesi, lui operaio e lei casalinga, che decide di opporsi al nazismo senza avere alle spalle alcuna organizzazione, semplicemente lasciando in luoghi di passaggio cartoline che invitano i tedeschi a ribellarsi all’hitlerismo (“Finitela di credere alle bugie di Hitler! Vuole soltanto mandarvi in rovina….”). Tra il ’40 e il ’42, la coppia lascia più di 200 cartoline, quasi tutte consegnate alla Gestapo da chi le ritrova. I due, scoperti, grazie allo zelo di un delatore, finiscono in carcere e vengono decapitati. Cartoline, foto segnaletiche, atti dell’indagine, raccontano una vicenda così vivida e vibrante che lo scrittore decide di dedicarle un romanzo. Nel ’47, in 24 giorni, scrive più di 500 pagine che hanno il ritmo della necessità, il vigore interno della storia vera e la forza esterna di fatti tremendi eppure universali. Al termine del lavoro, lo scrittore muore di overdose (da morfina), prima di veder pubblicato il romanzo-verità. È la storia di Hans Fallada (pseudonimo di Rudolf Ditzen) e di Ognuno muore solo, romanzo pubblicato in Germania nel ‘47, in Italia nel ‘50 e ora in pieno revival editoriale dopo la grande performance di vendite ottenuta nei paesi anglossassoni, dove è uscito per la prima volta nel 2009.
Nel romanzo, la coscienza dei protagonisti, Anna e Otto Quangel, si risveglia quando ricevono una lettera che li informa della morte “da eroe” del loro unico figlio, al fronte. Ognuno muore solo, il primo romanzo antinazista uscito nel dopoguerra, racconta non solo la loro ribellione, ma anche quella di altri everymen, né nobili né intellettuali, che danno vita a una forma di Resistenza descritta come una somma di gesti solitari, destinati a essere sconfitti senza incidere minimamente sul prosieguo della dittatura. Un reticolo di poveri uomini che tengono alla propria dignità, consapevoli di rischiare la vita per un senso morale che li porterà alla morte. Uomini che hanno bisogno di non disprezzarsi e cercano solo di “comportarsi fino alla fine in modo decente”. Ma il grande tema del romanzo, più ancora dell’enfasi sulle ribellioni solitarie, è quello della denuncia di un’attitudine dell’essere umano: l’istinto alla delazione, lo zelo di chi è pronto a tradire amici e vicini di casa pur di compiacere un potere che, tramite la paura, controlla e corrompe le anime. Come Il quinto angolo di Izrail’ Metter, che racconta il regime staliniano, come alcune pagine di A Mosca, a Mosca di Serena Vitale, come il film Le vite degli altri, il romanzo di Fallada dimostra che si può sempre far conto su una fitta maglia di vigliacchi pronti a tutto pur di farsi belli agli occhi di funzionari, a loro volta terrorizzati da possibili delazioni e indiscrezioni che li riguardino. La ferocia esponenziale della somma degli individui, che non si stempera in tempi di democrazia (vedi l’enorme successo dei siti di gossip cui contribuisce l’uomo della strada, con fotografie scattate a tradimento col telefonino), inquieta perché non è possibile fissarla né in un preciso momento storico né una determinata latitudine.
La scrittura di Fallada è istintiva, emotiva e trascinante, priva di controllo stilistico e a tratti ingenua. L’autore lavora sull’azione, sull’immediato, sull’accadere di cose che paiono mosse più da impulsi che da ragionamenti, e passa dal presente storico al passato remoto al passato prossimo con scarti che a tratti risultano legnosi. La netta scansione in capitoli brevi sarebbe perfetta per una riduzione televisiva, in formato di serial, mentre è probabile che l’autore l’avesse immaginata per una pubblicazione a puntate su un quotidiano, come era già accaduto con il romanzo che nel ’32 gli aveva dato fama e successo: E adesso pover’uomo, vicenda di neorealismo weimariano.
La traduzione di Clara Coïsson, riveduta, è quella anni ’50 della prima edizione Einaudi.
Hans Fallada, Ognuno muore solo. Sellerio, pg 752, € 16