Camilla Baresani
Autore: Joshua Ferris
Titolo: E poi siamo arrivati alla fine
Editore: BEAT
Anno di pubblicazione: 2006
Prezzo: € 7,65

Sommario

JOSHUA FERRIS – E poi siamo arrivati alla fine

- Il Sole 24 Ore - Domenica - Recensioni

“Eravamo irritabili e strapagati… Ma non escludevamo di dover compilare un modulo di disoccupazione via Internet, prima o poi. La prospettiva di trovarci nella situazione di dover lottare per pagare l’affitto o il mutuo ci terrorizzava. Tuttavia eravamo ancora vivi…Seduti alle nostre scrivanie, vedevamo ancora il sole splendere”. Joshua Ferris, scrittor giovane americano, esordisce con un romanzo di quelli che viene da definire “esemplari”: E poi siamo arrivati alla fine (Neri Pozza, euro 17), curiosamente pubblicato in anteprima mondiale in Italia, benché già recensito con toni appassionati da Nick Hornby.
La prima impressione è quella di avere tra le mani uno di quei romanzi americani che hanno la prerogativa di essere un segno dei tempi, di raccontare storie che – al di là di un valore letterario che va comunque ponderato nel corso del tempo – divengono memorabili per la capacità di cogliere appieno vicende che infesteranno il nostro immaginario e le nostre chiacchiere, saranno al centro dei film che vediamo, coinvolgeranno se non la nostra quantomeno la vita dei nostri conoscenti. Più o meno quello che è successo con Il grande Gatsby di Fitzgerald, con Sulla strada di Kerouac, con Le mille luci di New York di McInerney. Capolavori letterari? Forse no, ma certamente romanzi capaci di fissare e immortalare le svolte sociali di una determinata epoca storica.
In E poi siamo arrivati alla fine si raccontano, con vivido realismo e precisione di dettagli, squarci di vita aziendale di una grande agenzia pubblicitaria di Chicago. Il tono del racconto riesce a essere esemplare per ragioni narrative ma anche stilistiche. La vicenda è infatti narrata in prima persona plurale e all’imperfetto: due piccoli stratagemmi concorrono a storicizzare e raffreddare tutta la materia narrativa, dandole un senso di epica malinconica e affettuosa, come di un tempo memorabile vicino ma definitivamente trascorso. Le vite aziendalizzate del romanzo ricordano l’atmosfera dei collegi, con gli adolescenti afflitti da un’identità collettiva commisurata a quella dei compagni di scuola, ancora incerti su quale sia davvero la propria. Il licenziamento equivale a una bocciatura, le realtà famigliari, le malattie, i divorzi, i matrimoni, i figli, sono fatti indiretti, vissuti solo attraverso il racconto che ne viene fatto in ufficio ai colleghi. E ci sono le ribellioni e le goliardate (le e-mail di insulti spedite per scherzo dai computer dei colleghi, il sushi nascosto a marcire dietro la libreria di un impiegato arrogante, il furto degli spazzolini da denti), le solidarietà improvvise che rivelano personalità affettuose sin lì nascoste (tutti a darsi da fare per produrre un volantino efficace quando sparisce la bambina di una collega), il cinismo e le rivalità (un licenziamento è perdita ma è anche accaparramento di una stanza, di una scaffalatura, di una sedia girevole). Vite in cui il collega lo si conosce meglio del proprio coniuge, amandolo e detestandolo in un su e giù continuo, proprio come si fa con i famigliari.
Il romanzo inaugura una nuova collana Neri Pozza, Bloom, che si propone un catalogo di titoli che raccontino la contemporaneità. La carta dei volumi, uno dei piaceri massimi per il lettore, è decisamente bella, e il dettaglio vezzoso delle pagine non sfilate, come nei libri antichi, pare abbia messo in allarme molti librai, che pensavano a un difetto delle copie ricevute.