La trama de Il visionario ha elementi da romanzo gotico intessuto di approfondimenti psicologici e riferimenti all’inconscio. Si legge d’un fiato, nonostante la prosa sia di tale ricchezza ed eleganza lessicale, tale minuzia nel descrivere le magagne dei protagonisti, tale finezza descrittiva, che sarebbe più opportuno dedicarsi a una lettura lenta e assaporare pagina dopo pagina gli innumerevoli dettagli che lo rendono memorabile. In un’atmosfera a metà tra lo straniamento di un tempo sospeso e fantastico e una crudeltà di sguardo assai moderna, piena di sarcasmo, di sferzante ironia, di effetti quasi comici, il lettore termina la lettura de Il visionario irretito, catturato. L’autore, Julien Green, americano nato a Parigi e Accademico di Francia, nato nel 1900 e morto nel ’98, è uno di quegli scrittori “alla francese” cui cattolicesimo e omosessualità hanno impresso quella connotazione sadomasochistica, di senso di colpa, di dannazione, di esplosione sensuale che sappiamo bene essere molto proficua in letteratura. La trama è ambientata in una cittadina francese indefinita e in un tempo non precisato: secondo Giovanni Pacchiano, che ha tradotto con notevole finezza lo stile ricercato di Green e firma l’introduzione al romanzo, Il visionariopotrebbe essere ambientato negli anni Venti del Novecento, nella regione dell’Alvernia. C’è un monastero di suore che è anche una scuola femminile, ci sono i ruderi misteriosi di un castello, c’è un negozio di libri sporco, buio e respingente. Ci sono una governante infida e una viscontessa fascinosa, volitiva, rapace. Ci sono personaggi di sottonobiltà e piccola borghesia tirchia, in ristrettezze, racchiusa in case sinistre. Ci sono paesaggi boscosi che celano misteri, raffigurati per lo più di notte, e se invece è giorno capita di svegliarsi per settimane “sotto un cielo color rame”. Ci sono soprattutto i due protagonisti e io narranti del romanzo, Marie-Thérèse e Manuel. Lei, col distacco emotivo di chi ricorda, racconta i fatti avvenuti quando aveva quattordici anni ed era una ragazzona sana, inconsapevolmente appetitosa, vivace. E lui, il visionario del titolo, il cugino orfano diciottenne, bruttissimo, tubercolotico, soffocato da una sensualità che fatica a contenere, racconta la sua vita parallela come fosse una storia di fantasmi in cui unisce fantasticherie e tono sprezzante. Si fustiga, si disprezza, ma non perdona nulla agli altri. Quando Green scrisse Il visionario, a trentun anni, si era allontanato dalla Chiesa perché, come scrive nella Nota al testo del 1986, era “assillato dall’ideale della rinuncia alla carne, e questo in mezzo a piaceri di cui non potevo stancarmi né fare a meno”. Non riusciva a rinunciare alla “apparente novità di ogni avventura galante”, salvo poi constatare che “l’appagamento è sull’orlo della ripugnanza”. E di questo tormento religioso (“Io cercavo un Cristo che non mi facesse paura”, cioè quel Gesù che è “il più audace rivoltoso mai visto sulla terra”) sono intessute le pagine, fenomenali nel descrivere ogni forma di religiosità bigotta, sferzanti con preti e suore (“l’ultimo grado della scala sociale”), acutissime nel raccontare come sfumi in miscredenza la religiosità posticcia e convenzionale dei due ragazzi. Il romanzo è anche intriso di un senso di morte incombente, è anzi un’indagine sulle sensazioni di chi si prepara a morire, tanto più sorprendente in quanto scritto da Green a trent’anni. “La vita è un’illusione e la grande realtà è la morte… Il mondo che crediamo di vedere non esiste”. Fenomenali i ritratti anche fisici di due personaggi patetici nella loro infelice odiosità: la madre di Marie Thérèse e zia di Manuel, “una bestia selvaggia presa nelle reti del cattolicesimo”, che detesta la figlia e ama forsennatamente il nipote; e la governante del castello, la meschina signora Georges. Leggendo questo romanzo vi accorgerete che oltretutto è un catalogo di definizioni, metafore, immagini inconsuete ma immediate e potenti pronto da saccheggiare per l’uso quotidiano. Si esce dalla lettura ammaliati, colpiti nel profondo, decisamente arricchiti.