“Vienna non è mai stata ridotta in macerie dalla guerra; così, come Roma, è antica e tutta riccioli e volute. Francoforte, invece, è stata ridotta in briciole dai bombardamenti, perciò tutto in quella città è nuovo e rettangolare. Anche a casa tutto è rettangolare, ma solo perché è il modo più economico di costruire”. Così Douglas Coupland, autore canadese nato in una base Nato tedesca nel ’61 (l’anno della costruzione del muro di Berlino), e approdato coi genitori a Vancouver all’età di sei anni. Da allora abita nella città canadese, adagiata in una nicchia tra le montagne e l’oceano Pacifico. Scrittore molto originale, con grandi capacità di anticipatore di fenomeni sociali – una sorta di futurologo – ha ambientato quasi tutti i suoi romanzi nella “rettangolare” Vancouver, città-specchio che corrisponde perfettamente alla vena narrativa del suo autore. Coupland, è infatti uno straordinario descrittore di non-luoghi, cioè di quei luoghi individuati dall’antropologo Marc Augé per essere caratterizzati dal non fornire identità a chi vi abita o vi transita. E Vancouver è un non luogo per eccellenza: è una delle location più usate per i film a basso costo e per i serial americani, perché ha degli angoli che assomigliano a tutto e, in termini di produzione, costano molto meno dell’originale. La si usa per simulare New York, Los Angeles, Seattle, Baltimora, e anche un po’ di vecchio West. I suoi magazzini portuali abbandonati vanno bene per un buon secolo di storia americana, e ci si trovano cascate, e boschi, e strade da inseguimento a non finire. Una città dall’identità mutevole e labile, in cui si svolge anche Eleanor Rigby (Frassinelli, euro 17), l’ultimo romanzo di Coupland. E’ una storia piena di avvenimenti che parrebbero destinati a commuovere il lettore, raccontati però senza alcuna sbavatura sentimentale e raggiungendo un equilibrio di toni impeccabile. Liz, una donna grassa e insulsa che fin da adolescente ha rinunciato all’amicizia e all’amore, ritrova improvvisamente il figlio ormai adulto che aveva partorito da ragazza e aveva lasciato che venisse dato in adozione, su consiglio dei genitori. Solo che quando lo ritrova è malato terminale di sclerosi. Morto il figlio, che Liz aveva concepito con un ragazzo austriaco conosciuto durante una gita scolastica a Roma, la donna casualmente ne rivede il padre, e i due a distanza di tanti anni dal loro sporadico incontro si innamorano:: l’intreccio è ricco e con elementi di stralunatezza, ma tiene fino alla fine. Nelle duecentocinquanta godibilissime pagine del romanzo, ricche di osservazioni sottili e dettagli assolutamente anticonvenzionali, attraversiamo una Vancouver fatta di case modulari, di tangenziali, ospedali, parcheggi, centri commerciali. Alcune delle pagine più belle del libro si svolgono in un’enorme esposizione di letti e materassi, con spassosi dettagli di tecnica di vendita. Notevole, nel romanzo, oltre alla perizia con cui la città viene descritta in modo da poter essere ovunque (“… un condominio anni Sessanta di East Vancouver, dipinto di rosa e di verde acqua in omaggio al decor tropicale. Ma incuria, muffe e decenni di inquilini poco interessati gli avevano conferito un tocco in stile Beirut”), anche lo sguardo con cui viene descritta la Roma della gita scolastica. Agli occhi degli studenti canadesi appare solo come “un mondo corrotto e morente, un mondo che volevamo distruggere per ricostruirne uno migliore”. Detestano le gite diurne ai monumenti e aspettano solo la sera, per raggiungere un distributore Elf sul raccordo anulare vicino all’albergaccio che li ospita, e tentare di scambiare due parole con i ragazzi che lavorano alla pompa di benzina.