Che tipo di differenza può passare oggi tra un padre sessantacinquenne e la figlia venticinquenne? Che genere di trasformazione si è prodotta, negli anni e nella nostra civiltà occidentale, per cui l’uno e l’altra finiscono per osservarsi straniti a vicenda?
È la tipica domanda che si fanno i genitori riflessivi e psicologizzati dei giorni nostri, e forse se la facevano anche quelli dei secoli scorsi, quando non ci si poneva il problema di capire meglio, bensì quello di proibire o addirittura di ignorare meglio. Esiste una vasta letteratura di osservazioni familiar-generazionali, ed è bidirezionale: genitori spaesati che scrutano i figli e figli disorientati che esaminano i genitori.
In A proposito di Marta, Pierluigi Battista ci racconta le modalità di un’osservazione antropologica, con sua figlia vissuta non come portatrice dello stesso DNA ma come spirito del tempo, e racconta il proprio straniamento generazionale con una quantità di dettagli che inevitabilmente ci appartengono, facendoci identificare di volta in volta nella figlia o nel padre. Ci troviamo ancorati alle pagine, e chi passa mentre stiamo leggendo ci guarda e chiede “Perché sorridi?”. Si sorride, inevitabilmente, dalla prima all’ultima pagina.
Con questo libro, Battista completa una trilogia dedicata al “family watching”. In La fine del giorno, aveva descritto, nel suo modo profondo e ironico, se stesso alle prese con la fine della moglie Silvia, uccisa dal cancro: uno dei libri più intensi e interessanti degli ultimi anni. Poi è toccato al padre: Mio padre era un fascista racconta lo scontro ideologico-generazionale con il genitore, ex giovane volontario della Repubblica di Salò e poi avvocato e dirigente dell’MSI; un’indagine sulla figura paterna che porta a capirne e apprezzarne le ragioni, come spesso capita solo quando ormai è troppo tardi.
Tra Battista e Marta, la sua unica figlia, invece non c’è scontro, se mai reciproca osservazione. E, soprattutto, c’è il significato di un termine: vintage, come chiave di lettura delle tante differenze di gusti e visuale e soprattutto di interpretazione dello spirito del tempo che corre tra i due protagonisti. Il vintage, scrive Battista, “rende fluidi ed elastici i concetti di ‘prima’ e ‘dopo’. Questa la novità in cui è immersa mia figlia”. Tra lui e i genitori c’era “la rivoluzione contro la conservazione, la rottura contro la tradizione: non c’era vintage che tenesse, il passato doveva essere rifiutato in blocco”.
La passione di Marta e dei suoi amici per il vintage, dalle canzoni di Battisti ai vestiti comprati nei mercatini dell’usato, alla visita a musei che documentano momenti chiave della storia recente, appartiene a “un’estetica del ‘riuso’ che non è, come potrebbe apparire alla lettera, un omaggio al risparmio, al rifiuto dello spreco, alla sobrietà, bensì un magazzino infinito da cui attingere senza alcun obbligo di coerenza: un giorno ci si veste anni Cinquanta, quello successivo anni Settanta, come capita”. E se non c’è rifiuto, ma solo riutilizzo, anche i conflitti si stemperano. Si passa dalla stagione delle ribellioni a quella delle riutilizzazioni, magari in una chiave che ai genitori risulta spiazzante o illogica, ma di sicuro non eversiva.
Va poi detto che Battista possiede una scrittura dal tono molto personale, lieve e riflessivo, mai sentimentaleggiante, con pagine farcite di gustosi riferimenti letterari e cinematografici. Ogni suo libro è anche una guida ai migliori romanzi e ai migliori film: come con le finestre pop up, potete seguire la storia principale mentre ogni possibile sollecitazione culturale vi esplode sotto il naso.