Da tempo non leggevo un libro così potente, così ben scritto, così ben pensato. Ve lo consiglio. Parla di cancro (dunque di morte), parla di “vecchi bavosi” nell’epoca del Viagra (gli amori squilibrati di chi sta perdendo la propria mascolinità), parla di letteratura e di ruolo della letteratura, parla di una famiglia. Tutte cose che ci toccano enormemente, come esseri umani e come lettori. Il libro è “La fine del giorno” di Pierluigi Battista.
Credo che quasi ognuno di noi, in vita, abbia subito l’ingiustizia di veder morire una persona cara, di vederle patire cure devastanti e alla fine inutili, di osservarne l’umiliazione per doversi mostrare debole, prostrata, con un corpo inerme pieno di liquidi puzzolenti e incontrollabili, senza capelli, e destinato comunque a morire in breve – non si sa quanto. Pierluigi Battista racconta l’ultimo anno di sua moglie Silvia, dal momento in cui scopre di avere un tumore inoperabile ai polmoni, a quando termina la sua vita e viene cremata. Alla storia di Silvia, Battista incrocia la storia del libro che avrebbe voluto scrivere quando si è scoperta la malattia della moglie – malattia che ovviamente lo ha distolto dal proposito, e anzi gli ha fatto cambiare prospettiva sul tema. Battista stava raccogliendo la documentazione per un libro sui vecchi che non accettano la propria senescenza e si mettono con donne molto giovani, che li lasceranno dopo averli fatti morire di gelosia, depredati e ridicolizzati. Il fenomeno, sempre esistito e esplorato in lungo e in largo da ogni forma d’arte, è esploso con l’invenzione del Viagra. Proprio la malattia mortale della moglie cambia la prospettiva sul tema scelto da Battista per il libro: all’improvviso gli appare in tutta la sua penosa e anche comica evidenza che la medicina e la farmacologia hanno fatto progressi definitivi nel campo dell’allungamento della potenza sessuale, mentre nel campo ben più importante del cancro si continua a morire, a subire trattamenti devastanti e alla lunga inutili, ci si aggrappa a speranze destinate a venire soffocate.
“La fine del giorno” non è un memoir patetico, non mira a farvi singhiozzare, tuttavia vi colpisce al cuore, anche per la grande qualità della scrittura. Uno stile quasi anglossassone, che tende a evidenziare i paradossi e pattinare sui momenti più drammatici, a cambiare passo prima che la lacrima scivoli sul ciglio, a non selezionare mai aggettivi pesanti, da effettaccio, controllando la materia con un tono leggermente straniato, di tenue ironia. Questo anche grazie all’intreccio che a tratti risulta comico, con quei vecchiacci alla ricerca di un sesso tonitruante e muscolare nella stagione del “culo flaccido”, dei rotoli di grasso, dei bicipiti smollati. Le impietose descrizioni di maschi (sono di Battista e degli autori che cita) mi hanno fatto pensare, con sollievo, che allora non siamo solo noi donne a sentirci devastate davanti a uno specchio, quando siamo costrette a notare la difformità tra quello che avremmo voluto essere e forse siamo state, e quello che il passare degli anni ci ha fatto diventare. Chissà quando esisterà una letteratura altrettanto fitta di quella citata da Battista, sulle donne adulte in menopausa che si mettono con un ragazzo, esponendosi al ridicolo e a un sicuro fallimento: stiamo aspettando le Philiph Roth, le Vladimir Nabokov, le Italo Svevo, le J. M. Coetzee dell’era delle tette di silicone, dei culi rinforzati da protesi, dei lifting e dei filler.
Il libro è poi un catalogo di letture: ce n’è per molti gusti e molti interessi. Pierluigi Battista legge per lavorare, legge per studiare, legge per vivere. Si passa così dagli autori che sin dall’antichità hanno trattato il tema degli amori senili, alla ormai nutrita letteratura sul cancro, ai romanzi e memoir che raccontano la privazione, il dover fare i conti con la propria tendenza all’autocommiserazione sopravvalutandola rispetto alle sofferenze di chi è morto e non c’è più (“ha smesso di soffrire”).
Ho contato gli autori citati: mi pare che siano 41, alcuni con più di un titolo. Questo per dire che “La fine del giorno”, oltre a parlare delle cose che più ci interessano, la vita in relazione alla morte, l’importanza della famiglia e la costruzione di un rapporto sentimentale magari imperfetto ma stabile, l’invecchiamento e il sesso come vano rimedio alla paura della fine, è anche una formidabile guida alla lettura.
Lo ripeto: da tempo non leggevo un libro così centrato, senza sbavature, esatto nelle definizioni, nelle descrizioni, nei modi, nella scelta delle parole e nel modo di costruire l’ossatura del testo. Sono tra l’altro (lo dico per chi pensa di non avere tempo) solo 148 pagine che – garantisco – si leggono d’un fiato.
Non invidio l’autore, né la povera Silvia, e la figlia Marta, per quello che è successo. Ma invidio la qualità di questo libro, che – sono sicura – serve a qualcosa, non so a cosa. Serve e servirà.
PIERLUIGI BATTISTA, LA FINE DEL GIORNO
RIZZOLI, € 16