Camilla Baresani
Autore: Dave Eggers
Titolo: Some recollections of a busy life
Editore: McSweeney's Publishing
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Sommario

Le memorie avventurose del formidabile trisnonno di DAVE EGGERS, T.S. HAWKINS

- IL Magazine - Il Sole 24 ore - Recensioni

Se, come sostengono gli immancabili disfattisti del mondo editoriale, “Dave Eggers è sopravvalutato”, può darsi che invece il suo trisnonno, T.S. Hawkins, sia stato sinora ingiustamente sottovalutato. Hawkins è l’autore di Some recollection of a busy life, un memoir stampato in 300 copie nel 1915. Il suo obiettivo era quello di lasciare ad amici e parenti una testimonianza dei propri sforzi, dei travagli, dei successi: il racconto di un’autentica epopea western, iniziata con la nascita di Hawkins, primogenito di nove fratelli, in una sperduta località del Missouri, a venti miglia da dove pochi mesi prima era nato Mark Twain.

Nel novembre 2015, Eggers, che oltre a essere un autore di straordinario successo è il fondatore di una casa editrice indipendente nonprofit, la McSweeney’s Publishing, ha ripubblicato l’autobiografia del suo avo, prima con una tiratura/lancio di poche copie destinate a sole sei librerie californiane, e da fine gennaio distribuendola ovunque, anche tramite Amazon. Come ci ha detto dopo la brillante presentazione di San Francisco (pochissima gente – proprio come capita ad autori anche di successo in certe Feltrinelli di Milano o Roma), spera che l’impressione lasciata da questo memoir spinga i lettori a lasciare una testimonianza scritta dei fatti della propria vita: “Oltre all’eventuale valore letterario, esiste quello testimoniale, che va al di là della contingenza e dei numeri del mercato editoriale”.

L’autobiografia di Hawkins è preceduta da una lunga introduzione di Eggers, uscita quest’estate in anteprima sul New Yorker. Circa quindici anni fa, quando la parola “Hollister” non significava nulla per la quasi totalità della popolazione mondiale, l’autore di L’opera struggente di un formidabile genio cominciò a imbattersi in persone che indossavano felpe con la scritta Hollister. Ben presto le maglie comparvero ovunque, “da Melbourne a Montreal a Mumbai”. Nel 2000, il marchio di abbigliamento Abercrombie & Fitch aveva lanciato una linea con quel nome, premiata nel volgere di pochi anni da uno straordinario successo commerciale. “Nel 2013 c’erano 587 punti vendita Hollister in tutto il mondo, con più di due miliardi di dollari di fatturato”. Ma cosa significava quel nome? Durante la formazione dei dipendenti dei negozi Hollister, arriva immancabilmente il momento dello storytelling aziendale. Il racconto è una creazione a tavolino dell’ex AD della società, che pescò il nome Hollister a caso, tra tanti, senza sapere che corrispondeva a quello di una piccola località dell’entroterra della California. La leggenda aziendale era questa: John Hollister, avventuriero del Maine che aveva navigato per le Indie Orientali, stabilitosi a Laguna Beach, in California, aveva aperto un negozio di oggetti provenienti dall’Asia e dalle isole del Pacifico. Il figlio John jr., epico surfista, dopo aver ereditato il negozio si mise a vendere tavole da surf e abbigliamento sportivo. Da lì, da quell’inizio, sarebbe nato il marchio Hollister.

Di tutto questo – del brand, del business, della narrazione -, Eggers non sapeva nulla quando cominciò a notare le felpe marchiate Hollister. Per lui quel nome corrispondeva esclusivamente a una località “very old West”, a poco più di un’ora d’auto da San Francisco, fondata dal suo trisnonno T.S. Hawkins, autore di un libro di memorie che raccontava la miseria del Missouri, il viaggio, l’avventura, la fatica, le epidemie, gli incontri e gli scontri, e infine l’arrivo alla frontiera, l’acquisto dei terreni, la costruzione di una cittadina. Gli parve strabiliante che proprio quella Hollister, oggi diventata capoluogo di una contea agricola popolata da circa 35 mila abitanti, potesse essere finita su felpe col cappuccio e magliette diffuse in tutto il mondo.

Eggers racconta anche che un commerciante della cittadina, dopo aver cercato nel 2006 di registrare il marchio di blue jeans “Rag City Blues: Hollister”, venne minacciato dagli avvocati di Abercrombie & Fitch. Il nome di quella località è, ormai per sempre, un marchio di fabbrica, e appartiene a chi l’ha registrato. I dirigenti comunali di Hollister cercarono persino di dare un senso all’impossibilità di utilizzare il proprio nome, chiedendo ad Abercrombie & Fitch di aprire un negozio nella cittadina: un negozio Hollister nella città di Hollister. Ma poiché quel luogo “non è una destinazione turistica come la vicina Salinas, con la casa di John Steinbeck, o come Gilroy, conosciuta come capitale mondiale dell’aglio”, ed è popolato da “anziani abitanti bianchi e da un sessantasette per cento di abitanti identificati come ‘latino’, che lavorano nelle aziende agricole circostanti”, ed è in pratica un luogo ” unglamourous”, secondo i dirigenti di Abercrombie & Fitch non può godere dei benefici del proprio nome, perché “il marchio aspirazionale non troverebbe il giusto pubblico”.

Sin qui le interessanti notazioni di Eggers. Ma quello che soprattutto avvince nel libro è la scrittura di Hawkins, sia per l’alta percentuale di avventura che ci rimanda a tutte le storie western cui ci siamo appassionati sin da bambini, sia per lo speciale e arguto punto di vista del narratore, sia per la forma veloce, pulita, della efficacissima prosa paratattica. Il tono non è mai melodrammatico, e nemmeno epico. Ha la sbrigatività di qualcuno che ha raccolto ricordi e appunti per ottant’anni, e li deve condensare in pagine destinate a costruire una storia che altrimenti non resterebbe a nessuno. T.S. Hawkins non pensa a riempire di svolazzi e di frasi a effetto la sua epopea. La racconta selezionando episodi rilevanti, come farebbe chi dovesse preparare la sintesi di una ricerca.

Dalla capanna di una località del Missouri dove Hawkins dorme con i fratelli, tra estive piogge monsoniche che filtrano tra le assi e invernali cumuli di neve che le incurvano, alla vita nei campi, con la caccia agli scoiattoli e agli opossum; dal viaggio in Kentucky col nonno all’idea di creare un emporio quando aveva ventun’anni (dormendo sotto il bancone con un fucile a portata di mano); dal matrimonio con una ragazza che si rivela di salute incerta e cui i medici consigliano di trasferirsi dove ci sia un clima più secco alla partenza per il West… L’emigrazione della corsa all’oro era avvenuta dieci anni prima. Quando Hawkins lascia il Missouri, è organizzato: non si aspetta di far fortuna trovando una vena d’oro in un ruscello. A ventidue anni, con un figlio e una moglie malaticcia, liquida i suoi beni, prende con sé il padre, i fratelli, il genero, sessanta mucche, quattro carri, quattordici cavalli e parte per la frontiera. Incontrerà gli indiani, caccerà antilopi, perderà uomini e animali, prima di arrivare a Mountain View, nel 1860. La moglie muore, lui si butta a dissodare terreni, si risposa, ha vari figli, sinché nel 1868, consorziandosi con altri agricoltori, compra da un certo colonnello Hollister ventimila acri di terreno. Fonda una nuova città, e più tardi, nel 1892, terribilmente addolorato per la morte per appendicite di un suo nipotino di nove anni, fonda anche un ospedale, che ancora esiste: l’Hazel Hawkins Hospital. Una delle più belle pagine del libro racconta di quando la carovana di pionieri, passando nella zona di Salt Lake City, incontra i mormoni, una comunità ritenuta pericolosa e infida quanto i nativi americani. Hawkins vede da lontano una grande casa, dove immagina abiti gente che vive nel benessere. Poiché lui e i suoi mangiano da mesi solo pancetta e carne salata, senza mai toccare una verdura, decide di fermarsi e chiedere se gli abitanti della casa possano vendergliene. Bussa, e nessuno risponde. “Allora sono andato sul retro della casa, dove sotto un albero era seduto un uomo grande e grosso, con un bambino seduto su ciascun ginocchio, mentre una dozzina di altri bambini dai due agli otto anni giocava nel prato intorno a lui. Due donne lavavano i panni in una vasca, e altri erano stesi ad asciugare. Era il mio primo incontro con la poligamia. L’uomo, come tutti gli altri che ho incontrato più tardi, sembrava grasso e felice, mentre le donne erano sfinite e logorate.”

Dopo un tour delle librerie e delle biblioteche californiane in cui ha letto e raccontato la “busy life” del trisnonno, l’autore-editore ci ha detto che si sarebbe ritirato in un cottage nei boschi di sequoie dell’entroterra di San Francisco, per cercare la concentrazione necessaria a terminare il suo prossimo romanzo. Chissà se ha portato con sé la prodigiosa macchina da scrivere pubblicizzata sul numero del New Yorker in cui è pubblicata la sua storia di Hollister: “Freewrite è una soluzione per gli scrittori distratti di tutto il mondo”. Ha lo schermo ma non si collega al web, e, mentre si scrive, riga dopo riga, effettua un back up sul cloud dello scrittore.

 

T. S. Hawkins, Some recollection of a busy life: The Forgotten Story of the Real Town of Hollister, California. McSweeney’s Publishing