Mimì alla ferrovia è conosciuto da così tanti anni da far pensare di essere lì sin dai tempi di Ferdinando I di Borbone, come certi ristoranti raccontati da Balzac nella Commedia Umana. Il tentativo di prenotazione è particolarmente scoraggiante. Il proprietario non vorrebbe accettarla: non si fida di chi arriva in treno o in aereo, perché poi non disdicono, e domani ha un gruppo di congressisti, e insomma non vuole perdere tavoli – il tutto con voce arrochita e un tono strascinato, lamentoso, indolente, sfiduciato, da caratterista del teatro napoletano. “Signo’, non preoccupatevi, voi il tavolo lo trovate ma io voglio vedere la vostra correttezza”. Insomma, ti fa una cortesia ma è sicuro che gli darai una fregatura. Quando poi arriviamo effettivamente in ritardo (avendo avvisato), il patron ci rimbrotta per inerzia, ma in breve diventa di una gentilezza squisita e ci assegna un ottimo tavolo affidandoci a un cameriere sveglio, compito, rapido. Forse, come in tutte le sceneggiate napoletane, l’obiettivo è scuotere lo stato d’animo dello spettatore portandolo, attraverso desiderio, frustrazione, eccitazione, all’inevitabile lieto fine. Mimì alla ferrovia è un porto di mare, anzi di stazione, con un continuo andirivieni e ricambio di tavoli. Tra i frequentatori fissi ci sono molti avvocati (fino a pochi anni fa il Tribunale si trovava a pochi passi da lì), e i camerieri sono “di famiglia”, nel senso che appartengono a quel genere cui con una mossa di sopracciglio si ordina “il solito”, venendo poi serviti in un baleno. Le pareti della sala sono a tema: c’è quella Montezemolo, quella dei cavalli da corsa con relativi fantini, dei calciatori, dei personaggi dello spettacolo, nella più pura tradizione fotografico-ristorantizia, coi clienti resi testimonial (Ciampi è l’idolo della colonna alle mie spalle). Il pane è eccellente; la parmigiana tiepida servita come antipasto è impeccabile, non unta e con una salsa di pomodoro dal sapore pieno, squisito; i peperoni ripieni sono delicati, soffici, non ingozzanti; la ricotta e la mozzarella sono memorabili. Sin qui gli antipasti. Chiaro che non ne usciremo magri.
Mimì è il classico locale dove se chiedi il menu fai la figura del turista giapponese. C’è quel che c’è. Si chiede. La pasta con le vongole è ottima, con un condimento bello “stretto” e ogni vongola ha la sua conchiglia (cosa rara). I rigatoni con zucchine e gamberi, invece, sono troppo salati. La pasta e patate è un classico da provare, e l’ombrina sfilettata è più che discreta. Alla fine del ricco pasto, gli avvocati si accarezzano a lungo la pancia, come per farla rientrare. Conto sui 40 euro.