“Avucato nu ciamà, cu oun piato da mierda al zi pagà”: avvocato non chiamato, con un piatto di… va pagato. Proverbio istriano certamente non applicato all’Europeo di Napoli, dove i clienti sono quasi tutti avvocati: non fai che sentir dibattere di cause e mediazioni e parcelle (durante un mio recente pranzo ho giocoforza appreso dai miei vicini di tavolo tutti gli spinosi dettagli contrattuali che vincolano alle regole della catena Hilton i gestori di negozi interni agli hotel).
Siamo in centro, tra il porto e la facoltà di Giurisprudenza. Benché il Tribunale sia stato spostato in quella che chiamano “zona giapponese” della città, gran parte degli studi legali è rimasta da queste parti. Gli avvocati napoletani sono quanto di più lontano possa esistere dal cliché di quelli che, appassionati di golf, iperattivi e col contasecondi/contasoldi incistato nel cervello, popolano i legal thriller americani. Non contagiati da frenesie di diete, di sport, di redditività, tra le due e le quattro mangiano abbondantemente, e secondo tradizione. All’Europeo infatti la cucina è quella napoletana classica, servita in un ambiente retrò e dignitoso: alle pareti quadri che hanno una loro sobria eleganza, e intere batterie di pentole in rame. Sullo sfondo, nella cucina, un magnifico forno a legna in rame, con settant’anni d’attività sulle spalle. Un luogo à la Montanelli, insomma, per chi conosca il genere. Cucina senza voli pindarici né esotismi, gran qualità delle materie prime, esecuzione puntigliosa delle ricette tradizionali.
Quando ci mangiai la prima volta rimasi colpita dalla bontà del pane. Col mio accento da settentrionale e la faccia da turista in gita, chiesi alla proprietaria dove ne trovassero di così buono. Pensavo di portarmene a casa un filone. La signora, con grande gentilezza, me ne procurò uno per il giorno della mia partenza: sono pani cotti in forni “con fascine”, e lei li va a comprare, insieme a pomodori, carciofi e broccoli, in un paese della fascia vesuviana. Non me lo lasciò nemmeno pagare. Tanto per dire come, diversamente da ciò che capita in gran parte dei ristoranti italiani, qui nessuno si sogni di trattarti con freddezza, prosopopea e distacco, anche se sei uno sconosciuto di passaggio.
Un paio di settimane fa, affamata da un freddo inconsueto per Napoli, ho assaggiato piatti tutti consigliabili: un piccolo squisito calzone con fiorilli (non li conoscevo, ma hanno il gusto amarognolo della cima di rapa), un delicatissimo fritto di scampi, trigliette, fiori di zucca, supplì, arancino di riso, e una mozzarella di bufala. Poi, in ambasce per la scelta, ho finito per ordinare due mezze porzioni di primo piatto: pasta e ceci e una zuppa di scarola e spollichini (sarebbero i cannellini freschi, nel baccello). E ho terminato con scampi di costiera marinati in olio e limone. Il tutto diluito da un ineccepibile Fiano Terredora. Questa volta non c’era, ma consiglio di provarlo, il fritto di zomparielli (sono gamberini grigi di scoglio, messi sadicamente a friggere ancor vivi, cioè quando ancora “zompano”).
Note dolenti? Anzitutto il bagno, appollaiato in cima a una scala a chiocciola e gelido come quelli dei cortili. E poi un problema non eliminabile, dovuto in verità più alla clientela che alle dimensioni dell’ambiente: il rumore, talmente forte che quando ho finito di pranzare mi sentivo come presa a pugni. Questa volta, perdippiù, in fondo alla sala era in corso il pranzo di compleanno del nipotino dell’armatore Grimaldi, un anziano signore che da decenni pranza ogni giorno all’Europeo. Otto ragazzini sui dieci anni, che facevano un baccano infernale. A me e alla maggior parte dei miei conoscenti, simili casi di selvaggeria infantile fanno venire una gran nostalgia dell’educazione impartita dalle spietate Fraulein tedesche. Un vicino di tavolo, invece, un bel signore distinto di mezz’età, rivolto al titolare del ristorante ha detto: “Sono incantato: che bella cosa i ragazzini… è uno spettacolo”. Ah, Napoli, i napoletani… mi sono sentita in pieno Eduardo, e vergognata del mio rigido cuore nordico. Ecco perché Erika, la figlia di Thomas Mann, si trasferì a Capri vivendo al fianco di un pescatore!
Conto per un pasto davvero sostanzioso: 60 euro. Ma per un pasto normale, secondo i mie calcoli, dovrebbe essere intorno ai 45. Un’avvertenza: di sera l’Europeo è aperto solo tre giorni la settimana.