Mangiare bene appaga, distrae, tiene compagnia. Poi, se al cibo unisci una conversazione interessante, e magari anche una gita con qualcosa da vedere, riesci persino a placare quel pizzico di senso di colpa, dote dei momenti di massimo edonismo. Ecco perché domenica scorsa abbiamo ottimizzato un pranzo da orco al ristorante Belvedere di Bertinoro corredandolo con una visita alla mostra del Cagnacci, inaugurata il giorno prima a Forlì da Prodi in persona.
Tutti i giornali, compreso il nostro, avevano celebrato la mostra, e noi, da buoni prodotti della civiltà delle code, immaginavamo una penitenza di ore davanti alle casse, non avendo prenotato la visita. Invece, arrivati al convento di San Domenico, che di Forlì è il nuovo “polo culturale” (cioè museo, nel linguaggio degli assessorati), ci siamo trovati “soli come cagnacci”, come ho sentito dire da uno stupefatto visitatore. Alla cassa, al guardaroba e persino nella “sala delle tette”, cioè quella dove sono raccolti i quadri più attraenti e scostumati, non c’era quasi nessuno. E così, tra Cleopatre, Salomé e Maddalene penitenti con la faccia da impunite, siamo arrivati a un quadro splendido: la “Fiasca con fiori” attribuita a Tommaso Salini, che ci ha ricordato la caraffa di vino locale che ci aspettava al tavolo prenotato al Belvedere.
Bertinoro è un paesino a pochi minuti da Forlì, zeppo di vestigia, arroccato in cima a una collina, panoramico (dalla piazza principale si dovrebbe vedere il mare Adriatico, ma noi siamo capitati nell’unica giornata di nebbia fitta). Famoso anche per le piadaiole (non piadinerie!) e i vitigni autoctoni, pare che debba il nome a un’esclamazione di Galla Placidia, la figlia dell’’imperatore Teodosio, che passando dal paese avrebbe sorseggiato del vino locale in un bicchiere di terracotta ed esclamato “Vorrei berti in oro”. Un signore (che poi abbiamo scoperto essere il sindaco), incontrato mentre osservavamo una colonna in Piazza della Libertà (tipica toponomastica ottimistico-romagnola), ci ha detto: “Noi di Bertinoro mettiamo sul piatto tutto ciò che abbiamo”. In realtà al ristorante Belvedere si inizia ancor prima che dal piatto: dal cestino del pane, pieno di piadine calde, squisite e per niente gnucche come nelle versioni più diffuse, accompagnate da una scelta di succulenti salumi romagnoli. Seguono crocchette ripiene di una colata di parmigiano caldo e soufflé di patate bolognesi con gorgonzola. Poi si passa a soffici, delicati, passatelli con carciofi e guanciale, al porcellino con lardo, scalogno e salsa di Sangiovese. Altri piatti sono meno riusciti: le pappardelle con ragù di coniglio, frullato, mentre a noi piace masticare e detestiamo l’effetto “Spuntì”; i dischi di coniglio alle erbe, troppo duri sulle giunture e con troppe erbe. Ma, appunto, sono dettagli nel contesto di un locale dove è in atto l’encomiabile tentativo di modernizzare cautamente la tradizione locale, rispettandola pur proponendo alcune deviazioni a volte riuscite e a volte ancora da rodare.
Conto leggero, che, con il bianco locale (l’Albana), non supera i 35/40 euro. Senza essersi negati proprio nulla.
Ristorante Belvedere, via Mazzini 7, Bertinoro (Forlì). Tel.: 0543 445127