Lo storico Piero Camporesi, a proposito di uno dei suoi temi preferiti – gli inferi e l’inferno -, scrisse che “in tempi molto lontani vi fu chi pensò alle feriae dei reprobi, chi auspicò e teorizzò un riposo settimanale dei dannati, una settimana corta o castigo part-time”. L’idea era venuta al teologo cristiano Origene, e, sebbene “lasciata cadere come sconveniente, assurda, manifestatamente illogica”, vi fu chi si esercitò a immaginare quali luoghi fossero appropriati per il riposo dei dannati. A pensarci oggi, vengono curiose idee. Per esempio: si potrebbe immaginare la costiera romagnola, con le sue brutture edilizie, come una sorta di inferno in miniatura, un parco a tema più grottesco che tragico. E il luogo di ristoro settimanale per il dannato? L’abbiamo identificato a Misano Brasile (sì, un simile nome esiste), rovistando tra gli svincoli che collegano Cattolica a Riccione. Un’oasi insperata che arriva dopo aver vagato per stradoni in cui si usano come punto di riferimento toponomastico i capannoni più vistosi (e orrendi) , di cui uno per tutti resta impresso nella memoria: un fabbricato giallo, la “Città della cerimonia – Oliviero sport e sposa”. In quella sorta di continuo disastro urbanistico-architettonico, tra strutture per trampolini elastici, noleggi di moto da spiaggia e carrozzelle elettriche “con pedalata assistita”, bagni e lidi e ristorantini e sdraio all’insegna dei colori più sguaiati, c’è un’oasi neutra, chic, linda, ideale per il sollievo del dannato che è in noi. Immaginate, sulla spiaggia di Misano Brasile, un ristorante completamente bianco, dai rivestimenti di legno ai cuscini, dalle pedane alla copertina del menu e al candore antico del nome stesso: “Ristorante Riviera Mare”. Cucina funzionante dalle undici del mattino all’una di notte (è il nostro sogno di dannati senza orari, poter mangiare quando ci pare), e aperta anche d’inverno, quando, guardando il mare e la spiaggia non trafitta da lettini e ombrelloni, sembra addirittura di essere in luogo bello. I dettagli sono curatissimi: il cestino del pane in rafia bianca, i tovaglioli di cotone e lino, i bei bicchieri, persino il cestello del ghiaccio, in vetro a forma di vasca. E soprattutto la cucina non delude: niente invenzioni malriuscite, piuttosto piatti tradizionali di pesce fresco, senza asterischi da prodotto congelato. Acciughe e canocchie, sgombro con salsa di capperi e razza in insalata sono alcuni degli antipasti più gustosi, accompagnati da piadina calda. La pasta è fatta dallo chef, e personalmente possiamo garantire le ottime tagliatelle con calamari, appena macchiate di pomodoro, e gli equilibrati strozzapreti con vongole e pesto. Di secondo si può avere pesce al forno o al sale, l’immancabile fritto, oppure i classici spiedini e “rostida” (pesce arrosto coperto di pangrattato). Non mancano piatti di carne e di insalate. E’ in definitiva un ristorante dalle molte anime: va bene tanto per noi dannati a riposo quanto per i forzati della spiaggia, sia per chi è di passaggio sia per viveurs e nottambuli. Un luogo dove pare naturale sedersi tra signori abbigliati da città (rappresentanti?), signore in pareo, famigliole di turisti, ragazzi interessati a guardarsi l’un l’altro più che a mangiare.
Discreta la scelta della carta dei vini. In media si spendono 35/40 euro, e, pagato il conto, ci si allontana malvolentieri: dopo pranzo si resterebbe volentieri a osservare lo show delle coppie che si fotografano col telefonino e delle belle ragazze dall’aria slava un po’ crudele, trasferitesi dal tavolo ai lettini di fronte al ristorante. Impossibile non segnalare la particolarità delle toilettes: hanno pareti a specchio fino ai piedi.