Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, oltre che capitali della controcultura e del sound della West Coast, San Francisco e soprattutto Berkeley divennero il centro propulsore di una cucina di liberazione sia dal junk food sia dagli epigoni americani di Escoffier. Nacque così la Cucina Californiana, basata sul culto del local, dell’organic e di una contaminazione tra Mediterraneo, America Latina e Oriente. L’epicentro di questo movimento fu battezzato Gourmet Ghetto, una zona di Berkeley ancora oggi ritenuta un “really state of mind”: ristoranti, enoteche, rosticcerie, negozi all’insegna della ricerca di ingredienti di qualità. Tutto ebbe inizio con Chez Panisse, fondato da Alice Waters, considerata il nume tutelare del movimento. Oggi, Chez Panisse è diventato un classico (si può scegliere tra il bistrò e il ristorante), che non lascia strabiliati per tecnica e inventiva. Rimane soprattutto il ricordo della splendida cucina a vista, e si può dire di esserci stati così come si va a visitare un museo. Dal lato opposto della strada, c’è un negozio sorprendente, lo storico Cheese Board Collective, con una selezione di quasi cinquecento formaggi provenienti da tutto il mondo. Accanto, la Cheese Board Bakery con code interminabili per avere accesso alla pizza del giorno sfornata a ripetizione, mentre un’orchestrina di smooth jazz allieta il consumo fatto perlopiù seduti sul marciapiede, con i cartoni appoggiati sulle ginocchia.
A parte il dovuto pellegrinaggio al Gourmet Ghetto, come si mangia nella Bay Area? Cominciamo dai difetti presenti nella quasi totalità dei locali, e più evidenti in quelli di qualità: mancanza di tovaglia e tovagliette, con posate appoggiate sulla superficie del tavolo pulita in modo sommario da spugne di colore sospetto. Piatti sempre stracolmi e un po’ confusionari, con caduta inevitabile di alimenti sul tavolo. Aglio pervasivo, ammorbante. Burocrazia della prenotazione, con totale mancanza di flessibilità, e addetti al ricevimento con occhi fissi e disperatissimi sullo schermo di computer dove giace, protetto da algoritmi, il segreto di tavoli liberi ma non occupabili, e di regole ferree su cosa si può ordinare se seduti qui o seduti là, pur nell’ambito dello stesso locale. Altra cosa da segnalare, l’incapacità di creare, in una delle zone urbanizzate con più scorci paesaggistici del mondo, locali che uniscano tavoli all’aperto e qualità del cibo. Luoghi dove mangiare bene, scaldandosi al sole e godendo del panorama. Perciò, dopo attento scandaglio della Bay Area, posso dire che il miglior rapporto lunch/posizione lo trovate al Mission Rock Resort, oyster bar e grill: terrazza scenografica sulla baia, nel fascino desolato dei cantieri navali, con nostalgica colonna sonora anni Settanta e dignitosa cucina di pesce. Oppure andate dal celebre Sam’s chowder house, ad Half Moon Bay, mezz’ora a sud di SF, davanti al porticciolo di pescatori. In attesa di un tavolo, ho visto squartare tonnetti e granchi vivi fra gabbiani e pellicani famelici, ripromettendomi di non mangiare mai più pesce e crostacei uccisi in quel modo atroce, e invece trovandomi seduta poco dopo da Sam’s, al sole scaldato dalle lampade nelle giornate più fredde, gustando calamari di Monterey, salmone dell’Alaska e gustosi granchi locali. Ad Half Moon Bay è anche imperdibile la Creekside smoke house, bungalow-bottega di un affumicatore di salmoni. Sempre parlando di pesce, ma a ora di cena, dovete invece provare la spettacolare cebicheria peruviana La Mar di Gastón Acurio, al pier 1.5 dell’Embarcadero di SF, una delle zone più pittoresche ma anche più turistiche della città. Sarete sorpresi dalle infinite gustose invenzioni esercitate sulla base di un piatto semplice come la ceviche.
Quanto al sushi e alle sue evoluzioni fusion di cui San Francisco è un avamposto, non perdete Ebisu, ma non a un tavolo bensì al bancone, a stretto contatto con il sushiman, lasciandovi sorprendere dalle sue continue proposte.
Tuttavia, dopo qualche giorno, chiunque di noi sente il bisogno di un po’ di cucina italiana o quantomeno di italian style. Se vi fanno piacere anche un po’ di chiacchiere in italiano, di comfort food e di punti di vista e consigli da insider, dovete andare da Aldo Blasi, patron romano del Ristorante Milano, da quarant’anni a SF e tra l’altro grande appassionato di vini e profondo conoscitore delle più esclusive cantine di Sonoma Valley. Se invece vi trovate tra gli anonimi svincoli della Silicon Valley, è imperdibile il calore umano e alimentare offerto a Palo Alto dai fratelli calabresi Maico e Franco Campilongo, fondatori della pizzeria Terùn, frequentata da tutti i big dell’hi tech.
A San Francisco, le mie pizze preferite sono quella italofila di Delfina (locale very hipster nel quartiere gentrificato di Mission), quella filologico-napoletana di Il Casaro (davanti alla libreria City Lights di Ferlinghetti, nello storico quartiere italiano di North Beach), e quella romana del Montesacro di Gianluca Legrottaglie.
Non per il cibo ma per la bellezza del lungo bancone e delle nicchie con specchi, dei vecchi camerieri vestiti in modo tradizionale senza tatuaggi né piercing, ordinate qualcosa di meno cucinato possibile da Tadich Grill, 166 anni, il primo e più longevo ristorante della California nonché il terzo degli Stati Uniti.
Infine, non lasciate San Francisco, senza essere stati in uno dei locali più classici della Cucina Californiana, ovvero di quel movimento che dagli anni Settanta in poi cercò la strada della qualità, ispirandosi alla dieta mediterranea. Andate dallo scenografico Zuni Café e sottoponetevi alla tortura-piacere del pollo arrosto fatto al momento, con tempo di cottura di 60/70 minuti, nel frattempo ingannando l’attesa con le patate fritte a fiammifero e con i vini di Napa e Sonoma Valley.
Dopo aver dilapidato cifre consistenti per mangiare serviti a un tavolo, il suggerimento è di assaggiare un’altra evidente realtà di San Francisco, andando a servire alla centralissima mensa del St. Anthonys, che ogni giorno sfama circa 3000 homeless. Basta iscriversi sul sito per il “Dining Room Service” e presentarsi puntuali alle 9,15 del mattino. Sarà la più indimenticabile delle esperienze alimentari.
Se invece volete cucinare o quantomeno visitare due luoghi topici del food sanfranciscano, andate all’Alemany Farmers’ Market del sabato, il più ampio e meno turistico, quello frequentato dai ristoratori (a differenza del molto più costoso e pubblicizzato che si svolge al Ferry Building). Oppure fate la spesa accompagnati da una strepitosa colonna sonora, nel cuore hipster e organic di San Francisco, da Bi-Rite market. Meglio se in quello di Mission, sulla 18th, nei pressi dei sopravvalutati Bar Tartine e Tartine Bakery. Da Bi-Rite troverete costosi prodotti ortofrutta brutti ma buoni, scatolame ricercato, un banco rosticceria meno trucido di quelli di Whole Foods, il banco carni “sostenibili” e l’angolo del pesce, dove non sanno pulire un calamaro ma lo story telling è eccezionale.
Chiudo con la segnalazione di un’impareggiabile e imperdibile libreria dedicata al cibo. Nel quartiere vittoriano di Noe Valley, Omnivore vende libri nuovi e vintage in una selezione raffinatissima. Ci si passerebbe la giornata tra una scoperta e l’altra, svuotando il portafoglio come e più che al ristorante.