“Comune antitransgenico” sta scritto sotto il nome del paese, sul cartello lungo la strada statale. E, più sotto: “città gemellata con Dachau”. Dove siamo finiti? cominciamo a chiederci – e cerchiamo di immaginare le sedute municipali che hanno portato all’adozione di attributi così nobili e vibranti. Ci troviamo a Fondi, cittadina laziale attraversata dalla via Appia, carica di splendide testimonianze architettoniche di storia romana e in seguito papalina (la contea appartenne ai Caetani d’Aragona), con un quartiere ebraico “più suggestivo e meglio conservato di quello di Gerusalemme” – per dirla col rabbino Elio Toaff. Situata al confine tra quelli che furono il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa, Fondi dista pochi chilometri dal mare di Gaeta e Sperlonga. La vocazione della zona, tuttavia, non è turistica bensì ortofrutticola, e questo spiega l’esibizione di orgoglio antitransgenico. Per completare il quadro con una nota d’attualità, Fondi è stata scelta nel mese d’agosto da Walter Veltroni per la sua rentrée politica, dopo le vacanze alle Maldive. Lì, il neo-segretario del neo-PD ha partecipato a un dibattito pubblicizzatissimo (anche dai quotidiani nazionali), organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio sull’esiziale tema: “Ha ancora senso l’amore?”. Noi, invece, come da obiettivo di questa rubrica, siamo stati a Fondi per mangiare, visitando una di quelle trattorie un po’ su d’età, con un glorioso passato che un tempo le rendeva mete degne di gite domenicali, poi surclassate dalla stagione delle mode, della ristorazione fighetta di massa, e probabilmente dallo stesso invecchiamento dei proprietari. N’Dino, che si trova nel centro storico, appare già all’ingresso un luogo un po’ sconclusionato. Sulla porta sono incollati gli adesivi delle guide più note, ma l’ultimo risale al ’98. I vini sono esposti in due vetrine all’ingresso, una intitolata “Nord”, l’altra “Centro Sud”. Gli stanzoni hanno un aspetto sorpassato, i quadri sono d’una sgargiante e un po’ molesta naïveté, e sulle mensole di una delle tre sale è in mostra la collezione di ricettari del quotidiano La Repubblica (il che ti fa temere che in cucina abbiano deciso di reinventarsi tramite enciclopedia). Ma il menu, una volta che l’avete in mano, vi ripaga di ogni preoccupazione culinaria. L’elenco dei “piatti tipici della cucina locale” fa venir voglia di assaggiare proprio tutto, in una sorta di riappropriazione di pietanze perdute. Cicoria e fagioli, baccalà lesso con peperoni secchi locali (davvero squisito, da tornarci per assaggiarlo), rane e gamberi di lago “fritti dorati” o al pomodoro, alicette fresche in padella con prezzemolo e alloro (buonissime), broccoli e salsiccia, zuppa di funghi, tagliolini con gamberi e asparagi selvatici (piatto saporito ed equilibratissimo), fagioli all’occhio con pomodoro, fettuccine ai funghi di pioppo (ottime), pappardelle al cinghiale, e poi tordi, pernice, boccaccine, fagiano, lepre. Il tutto in menu, insieme a piatti più scontati, di mare e di terra. Il gusto della verdura è pieno, vigoroso, e, a parte il nostro cronicizzato essere carnivori, fa capire come si possa diventare vegetariani senza che il palato ne risenta. A patto di venire a far la spesa di ortaggi a Fondi. Pagato il conto di 40 euro, si esce per far quattro passi nel suggestivo susseguirsi di piazzette, cortili e monumenti. Nella stradina che ospita il ristorante, a mezzanotte, la vetrina della “sartoria Raso” è fiocamente illuminata: dentro, due vecchietti tagliano e cuciono abiti.