“Il pesce dentice non vive mai da solo e non sopporta di essere diviso e isolato dai suoi simili, ma ama aggregarsi a frotte di dentici che abbiano la sua stessa età… ama stare dove ci sono altre creature del suo genere, come compagni e amici che condividono le medesime occupazioni e i medesimi svaghi”.
L’autore di questo referto psicologico sulle attitudini del dentice è Claudio Eliano, sofista del III secolo. Con “La natura degli animali”, diciassette volumi di studio eto-filosofico, Eliano si prefigge di dimostrare come gli animali abbiano attitudini e sentimenti più elevati di quelli dell’uomo, ed è dunque un mio pensatore di riferimento. Pensando alla lieta socievolezza del dentice, era forse fatale che la sua versione cucinata fosse l’unico piatto non di mio gradimento fra quelli che ho assaggiato al Granchio di Terracina.
Ristorantino di pochi tavoli infilato in un anonimo vicolo della città di mare, il Granchio supplisce alla posizione poco felice con un interno di un’eleganza curata e allegra, sui toni del rosso e del grigio. Notevole è anche la competenza della ragazza che serve ai tavoli: gentile ma non invadente; se provate a interrogarla sul menu, sulla preparazione dei piatti e sulle materie prime, non sbaglierà una risposta e non dovrà correre in cucina a consultare lo chef, come succede in gran parte dei ristoranti italiani. Il menu, raffinato e fantasioso, è costruito – e rielaborato – su piatti e pesci della tradizione locale. Conviene anzitutto assaggiare tutti gli antipasti: la passatina di spernocchie con bocconcino di merluzzo di rezzetella e polpettine di broccoletti (e pazienza per la leziosità di tutti quei diminutivi); l’insalata di mare (una delle specialità rese più nefaste dalla ristorazione patria, qui invece ottima, tiepida e delicata, servita in una bel bicchierone di vetro fino); l’insalata di ceci e calamari e cipolla di Tropea (squisita); la millefoglie con sedano rapa, radicchio, sarago, scorza d’arancio e finocchietto. Buoni anche i primi, per esempio i delicati tonnarelli verdi con calamari, castelmagno e carciofi. Tra i secondi, eccellente il fritto di calamari e triglie di Terracina; mentre il dentice preso all’amo e cotto a bagnomaria in un barattolo di vetro che vi verrà dissigillato sotto il naso (è il piatto classico del locale), mi è parso – appunto – malriuscito: troppo cotto il pesce, asciutto e sfibrato, troppo forte e coprente l’aroma del timo con cui viene rinchiuso.
Rimane una curiosità: da dove viene il nome Terracina? Impossibile un contatto tra i cinesi e una città d’origine così antica, fondata sulle sponde del Tirreno dagli Ausoni in epoca pre-romana. E infatti pare che il nome derivi dall’etrusco Tarchna o Tarchuna, da cui ha origine anche Tarquinia.