A Roma il cosiddetto fine dining è messo all’angolo dalla cucina tradizionale delle carbonare, delle amatriciane e dell’abbacchio. Non è facile riempire il locale proponendo una cucina più creativa, ma da Almatò la formula funziona e i dieci tavoli del locale sono sempre pieni. Bellissimi bicchieri e stoviglie ricercate, servizio da ristorante stellato con camerieri veloci, silenziosi e sincronizzati come in una coreografia. Sottofondo di musica jazz, bella illuminazione. Acustica perfetta: si chiacchiera a bassa voce con i commensali. Uno dei piatti più gustosi è la lingua di manzo arrosto, croccante e delicata. Da non perdere le tagliatelle con coniglio e beurre blanc all’arancia e olive. Tra i secondi, anatra, porro e daikon. Squisito l’ananas, salvia e wasabi. Tre menu degustazione, il più conveniente a 75 euro per 5 portate. Eccellente carta dei vini. In Prati, aperto solo la sera.