In “Vita scandalosa di Giuseppe Berto”, Dario Biagi elenca i ristoranti più frequentati da scrittori, giornalisti, cinematografari nei primi anni ’50. Il Bolognese, Cesaretto, Menghi (non c’è più) e Nino di via Borgognona “allora tempio esclusivo dei padri radicali: i Pannunzio, i Benedetti, i Libonati, i Carandini”. Berto, che non era di sinistra, lo evitava. Oggi Nino, con i suoi mobili scuri in stile neogotico, con i camerieri abilissimi, camicia bianca e papillon nero, che si muovono felpati, con il menù immutabile – cucina toscano-romana – non è più frequentato dai “radicali” ma da una classe dirigente attempata, da ereditieri di patrimoni ormai esauriti, e da alcuni turisti alla caccia di una Roma non intrucidita dal denaro (o dalla sua mancanza). L’hamburger più buono lo trovate lì e si chiama haché. E poi ribollita, pappardelle, carciofi fritti o alla romana, e un ottimo castagnaccio.