Ai Parioli, a Roma, ci si va spesso a cena, un po’ come a Brera, a Milano. L’obiettivo è la convivialità, più che l’esperienza per gourmet, dunque il livello medio dei tanti ristoranti del quartiere è piuttosto deludente. Tuttavia alcuni locali nati ai Parioli negli ultimi anni cercano uno standard culinario più alto – almeno progettualmente -, adeguato alle tendenze della cucina contemporanea. Molto è uno di questi. Ha indubbiamente un bell’aspetto (con lo stile di certi ristoranti d’atmosfera di Manhattan), ha un innovativo ventaglio di offerte in grado di soddisfare diverse esigenze (menu più semplice a pranzo, bancone per degustazioni, un girarrosto), ha persino un giardinetto, benché un po’ concentrazionario, stretto tra i condomini. La musica alta, unita al rimbombo delle chiacchiere, stordisce alcuni, mentre altri considerano il rumore un vantaggio: almeno non si è costretti a conversazioni impegnative. Ci sono però diversi punti deboli. Il servizio è scalcinato: camerieri difficili da acchiappare, che servono con gomiti e braccia passati regolarmente sui lati sbagliati, cestini del pane vuoti mai sostituiti, dimenticanze varie. La qualità dell’offerta non è costante: un giorno la mozzarella è flaccida, un altro è soda e ottima. Alcuni piatti sono velleitariamente creativi, come i gamberi in pasta kaitafi ora non in lista, altri un po’ rozzi (l’amatriciana – in romanesco matriciana – lascia sul fondo mezzo dito di unto, e il guanciale ha le estremità carbonizzate). Però il pollo ruspante al girarrosto è ben cotto e gustoso, come anche le polpettine di vitella croccanti (ma usare ancora come contorno/decorazione di un piatto i mezzi ciliegini fa tanto nave da crociera…). Tre portate, 45/50 euro.