Ci sono ristoranti “famosi per essere famosi”, non certo per la qualità della cucina. Ristoranti dove il cliente occasionale è quasi certo di rimanere deluso. Ristoranti che possono tuttavia contare su uno zoccolo duro di habitué facoltosi, i quali, sebbene dotati di un palato raffinato dalla possibilità di disporre dei migliori cibi, vi si trovano a proprio agio e vi consumano i propri pasti regolarmente: ordinano sempre le stesse cose, hanno confidenza coi camerieri e col titolare, sanno evitare le trappole del menu – insomma, si sentono più “a casa” lì che nelle rispettive case. Ristoranti che in genere si trovano nel centro storico delle città – come a Brescia il celebre La Sosta, uno dei locali più chiacchierati d’Italia dal punto di vista non della gastronomia bensì della finanza: ne è infatti abituale frequentatore il finanziere Emilio Gnutti, quello sempre ritratto al volante di una Ferrari da Mille Miglia, con addosso un giubbottino Pineider (una delle tante acquisizioni della sua Hopa, assieme alla Locman, azienda di orologi orrendi che molti ritengono chic in quanto americani e che invece nascono sull’isola d’Elba).
Proprio al La Sosta, nella primavera del 2001, al discusso socio/nemico di Fiorani capitò di ricevere uno schiaffo da un ex-amico azionista Telecom, infuriato dal crollo delle azioni in seguito alla vendita a Tronchetti Provera. E, sempre lì, il 13 maggio scorso c’è stato un pranzo dei cosiddetti “concertisti”, come racconta il giornalista di Brescia Espresso Alessandro Cheula, che quel giorno era seduto accanto al tavolo della “allegra brigata”: “C’erano pressoché tutti gli orchestrali: Marniga, Ricucci, Bellavista Caltagirone, e ovviamente Fiorani, Gnutti, Coppola e Statuto, che il giorno prima erano stati accusati dalla Consob di avere ‘concertato’ l’acquisto di azioni Antonveneta per aggirare l’obbligo dell’OPA”.
E come mangiano i concertisti? Sono tornata a visitare questo caposaldo della ristorazione bresciana dopo molti anni, memore di alcuni pranzi famigliari consumati lì da ragazzina. Mi sono trovata seduta accanto al tavolo dell’immarcescibile costruttore e finanziere Mario Dora, probabilmente il più furbo di tutti i furbetti, passato indenne attraverso Mani Pulite e ora anche da questo ennesimo scandalo finanziario. Quand’ero piccola scorrazzava per Brescia su una Rolls Royce bianca e mangiava ogni giorno al La Sosta. Trent’anni dopo, è ancora lì, più ricco che mai, al medesimo tavolo, dove riceve visite e omaggi di chi entra ed esce.
Il ristorante si trova al pianterrerno di un edificio seicentesco piuttosto bello, dove appunto sostavano le carrozze di passaggio sulla strada che da Venezia porta a Milano. Lo stanzone principale, con le alte volte e le snelle colonne, è dunque una ex stalla, come ricordano i cavalli dipinti nelle due finestrelle trompe l’oeil realizzate sulla parete di fondo. I due tavoli “da OPA”, quelli degli habitué, sono in una sala più piccola, accanto al camino e davanti all’ingresso: in pratica la posizione meno discreta del locale.
Il menu è generalista: di carne o pesce, di povertà o ricchezza, di dieta o ingrasso. C’è l’immancabile culatello (ma perché nei ristoranti ci si intestardiscono, quando nel 99% dei casi servono per culatello delle terribili fette di salume legnoso?), e un bancone d’insalate per chi fosse a dieta. E c’è una serie di quelle pietanze rassicuranti che rappresentano il perfetto cliché di un locale del genere: uova di quaglia con polenta all’onda e bottarga grattugiata, insalatina (irritante diminutivo in gran voga nei menu) di salmone e branzino farciti, crespelle al bagoss (formaggio bresciano spaccadenti), tagliatelle all’astice e bavette alle vongole veraci, fegato grasso d’oca alle mele e Calvados, rognoncino trifolato con polenta, medaglioni di pescatrice in bouillabaisse, trancio di pesce spada al burro d’erbe, e via di questo passo. Il tipico menu da ristorante lussuoso di provincia, tra istituzionale e fané. I piatti sono da scegliere con cura, mirando alle cose più semplici, dato che nulla è eseguito in modo memorabile: per esempio i miei tagliolini con tartufo erano deludenti, “inghiummati” come direbbero a Bari, e anche di pasta troppo spessa e insipida. Gustoso, invece, ben cucinato e di ottima materia prima, il capretto con polenta, tipico piatto bresciano.
Se si evitano astici e tartufi e vini costosi, si può fare un pasto completo con 60/70 euro. Il servizio, per un simile locale, è disastroso: i camerieri, benché gentili e persino simpatici, servono e ritirano i piatti regolarmente dal lato sbagliato; alla seconda bottiglia (sempre di bollicine Franciacorta, ma di etichetta diversa) i bicchieri sono rimasti gli stessi, e alcuni dei miei commensali si sono visti mescere il vino nuovo quando nel bicchiere c’erano ancora due dita di quello precedente.
Ristorante La Sosta, via S. Martino della Battaglia 20, Brescia. Tel. 030 295603