Certo che il fascinoso mondo del casinò, dipinto da tanta letteratura e tanto cinema, è la cosa più lontana immaginabile da quello che si vede a Campione, enclave biscazziera italiana sul lago di Lugano: nessuna traccia di belle donne, girocollo di perle, smoking e facce elegantemente danarose o incantevolmente tragiche. Né assomiglia, il casinò di Campione, all’iperpop di Las Vegas, caleidoscopico e appagato dalla propria cafonaggine. L’ingombrante edificio che lo ospita, progettato da Mario Botta, è una specie di cilindro con improvvisi spigoli, trafitto da lugubri feritoie. Il pubblico del venerdì sera è fatto di gente vestita come il sabato mattina al centro commerciale: comitive di ragazzi ciondolanti e, soprattutto, molti vecchi, alcuni con i movimenti difficoltosi del dopo ictus. Parecchie donne sole e coppie di modeste anziane incanaglite, assatanate, insoddisfatte, comunque con l’aria di conoscere quel posto meglio di casa loro. Nessuno parla, ma gli stanzoni sono attraversati dal lun-lun-lun delle roulette elettroniche e dal suono da fiera di paese delle slot machine. Poiché a tutti capita di aver fame, a ogni piano del casinò c’è una tavola calda o un ristorante, magari pubblicizzato dal buono sconto che viene consegnato all’ingresso: “2×1 al Ristorante Jackpot”. Piano per piano, una siepe finta di bordura separa i tavoli da cibo dai tavoli da gioco, il tutto alonato dai megaschermi accesi su Canale 5. Charme? Neanche l’ombra.
Al ristorante Candida, invece, a pochi passi dal casinò, si trova quell’atmosfera raccolta e dedicata in grado di lenire fatiche e nervosismi. Un locale vecchio stile, caloroso e intimo: sottopiatti d’argento, pizzi, merletti, tendaggi, il camino, le volte del soffitto. Lo chef-patron, Bernard Fournier, raccoglie gli ordini con accento e voce identici a quelli di Louis de Funès, non prevaricando i clienti ma aiutandoli ad assecondare i propri gusti. Tra i piatti assaggiati, i ravioli di polenta con missoltino (è un pesce del lago di Como) sono i più riusciti. Lievi, aerei, delicati. Davvero eccellenti. Ben eseguita anche la zuppa di cipolle. Incredibilmente buono un piatto che di regola bisognerebbe evitare e forse persino vietare: il tataki (una sorta di tagliata) di tonno alla mediterranea. Diligenti e non memorabili invece le uova di quaglia poché e le variazioni di alici con tartare di pomodoro; dimenticabile la terrina di verdure croccanti in gelatina. Il foie gras, per cui il ristorante è celebre, viene preparato in una decina di maniere diverse. Questo, naturalmente, per chi non vuole soffermarsi sul sistema disumano con cui vengono ingozzate le povere oche. Il conto è sui 70 euro.