“Non ti piacerebbe vedere cosa c’è dentro un cameriere?”, “Vecchi menu, pezzi di porcellana rotta, mance e mozziconi di matite”. È uno scambio tratto da Tenera è la notte, con i protagonisti che immaginano di segare il cameriere di un ristorante della Costa Azzurra per guardarci dentro. Se invece ne segassimo uno del Ristorante Teatro Alberti di Desenzano del Garda, potremmo trovarvi brandelli di gonnellino da danzatrice del ventre, spigoli di piatti quadrati, un accendino (utilizzato per il lumino del tavolo, che unitamente alla luce sprigionata dal proprio cellulare serve a decifrare gli slavati caratteri del menu). Come recita una brochure, “il progetto del Teatro Alberti nasce dallo stesso staff e dallo stesso architetto che hanno creato i locali più storici del panorama notturno italiano”. Suppongo che quel “più storici” – sorta di “più migliore” – alluda all’età del teatro, casamento anonimo che in passato ospitò l’unico cinema di Desenzano, a sua volta costruito sui resti di un teatro ottocentesco. Un paio d’anni fa il cinema è stato ritrasformato in teatro, con l’aggiunta di ristorante e american bar. L’arredo è in stile di parodia del classico: un insieme di elementi ipertrofici e palesemente falsi, che va molto nei disco-bar e nei privé. I tavoli del ristorante sono parte in galleria, parte in platea, tra bar e palcoscenico. Alcuni poggiano su una pedana che a tarda notte viene sgombrata per lasciar posto a chi balla. Se non c’è uno spettacolo – di danza, di musica dal vivo, di cabaret – sullo schermo scorrono videoclip d’antan: Armstrong, Ella Fitzgerald, i Beatles. L’idea del teatro-ristorante non è malvagia. Il problema, come al solito, nasce dal combinare due professionalità assolutamente diverse. È difficile che chi sa tener vivo un teatro sappia anche darvi da mangiare. Ecco allora che all’Alberti, servite in piatti a forma di piazza d’armi, incorniciate da decorazioni da scuola alberghiera (la chiave di violino disegnata con riduzione d’aceto, la polvere di stelle al prezzemolo), vi servono pietanze a metà tra l’anonimo e lo sbagliato. Siamo vicino a Mantova, nelle patria delle tagliatelle di pasta all’uovo fina, lieve, saporita? Vi portano tagliatelle ai funghi porcini spesse e ingozzanti: sembrano pizzoccheri. C’è la solita tartare di tonno? La si serve “impreziosita” da un invadente contorno di sale delle Hawaii. Il coperto è a base di paninetti-gomma semplici o alle olive. C’è l’immancabile pesce crudo, c’è la carne di qualsiasi genere (dal bisonte canadese all’agnello norvegese), ma al tavolo arriva già fredda. C’è la solita mozzarella di bufala troppo molle – rovinata dal frigo o dal trasporto. Perché proporla, se non si riesce ad averla buona? I camerieri, quelli da segare in due, sono molto gentili e collaborativi. Il conto è sui 40 euro se non si vuole assaggiare tutto, ed è davvero difficile che lo si voglia.