Molte realtà che rappresentano qualità, tradizione e bellezza sono destinate a essere travolte da globalizzazione e crisi. E allora non ci resta che il ruolo vigile e malinconico di testimoni di ciò che si sta per perdere. Una trattoria è solo una trattoria: non cambia la vita di nessuno e raramente fa storia; però è un perfetto contenitore di ricordi, anche di quelli che abbiamo per esperienza indiretta: letture, film, fantasie mai vissute. La Trattoria da Bassano di Madignano, sobborgo di Crema, è uno di questi luoghi da visitare e rivisitare, uno dei luoghi che faranno massa nella valigia delle nostre rêveries. Fondata sulla passione, lo spirito di sacrificio, il cattivo carattere e anche l’ingenuità commerciale di due sole persone. Lei e lui in cucina, nell’orto, a servire in tavola. Non c’è ricambio, aiuto, impresa: solo culto degli ingredienti e delle ricette locali, eseguite al meglio di quello che uno stomaco odierno può sopportare: niente fondi oleosi, niente ricotture, niente sapidità indigeribili. Il menu è recitato e spiegato ai clienti. Di solito questa cosa mi indispone: preferisco leggerlo, pensare alle combinazioni dei piatti, vedere i prezzi. In questo caso invece fa parte dell’atmosfera casalinga: se ne parla con chi si occupa della cucina, proprio come succede a casa. La trattoria si trova nella villetta di un quartiere seriale – ordinato, pulito, di nessun glamour -, dove già alle nove di sera pare di essere nel cuore della notte. Nessuna luce filtra dalle finestre dei condominietti, nemmeno le vibrazioni bluastre dei televisori accesi. È giovedì e siamo gli unici clienti. Il martedì e il mercoledì la trattoria è chiusa. Si cucina, di fatto, su ordinazione. Da quando le aziende dei dintorni sono in cassa integrazione, si lavora soprattutto nel fine settimana. L’arredo è sul genere che definiremmo “gozzaniano”, e d’estate si mangia nel giardinetto sul retro. I coperti sono una ventina. Ecco la lista dei piatti che sono riuscita ad assaggiare: nervetti di vitello caldi con fagioli bianchi; squisita insalata di gallina (tonica, elastica) con cedro, uvetta, melograno e aceto balsamico; foglia di cavolo (appena scottata, ancora croccante) farcita con cipolla, mostarda di cotogne e salsiccia cremasca (delicata, quasi dolce, senza eccessi di grasso); zuppa di cipolle; memorabili cappellacci con ripieno di pavone; tortelli cremaschi di pasta matta (senza uova) e con ripieno di 13 ingredienti: per il mio palato un po’ troppo dolci. E poi: frittura di cervella e filoni (il midollo spinale); lingua lessa con salsa verde; oca n’da ola (cotta in tegame di terraglia) e, soprattutto, imperdibili piedini di porco, appena rosati dal pomodoro, con cipolla, peperoncino e puré. Pesche sciroppate e marroni glassati. Nemmeno un terzo dell’intero menu, che avrei voluto provare da cima a fondo. Persino il pane e i grissini sono eccellenti. La cantina è ben fornita e il conto, vino incluso, è sui 40 euro.