“Bistro, bistro!”, strepitavano i soldati cosacchi battendo i pugni sui tavolacci delle osterie parigine. Era il 1814. Bistro vuol dire “presto”, “veloce”. Se l’interpretazione etimologica è corretta, il bistrot nacque così, dalla francesizzazione di un termine russo. Una denominazione che avrebbe avuto un grandissimo successo, al punto che quella del bistrot è divenuta una tipologia classica, una sorta di parente nobile della successiva e più triste tavola calda e del pauperistico fast food. Senza nessun consulente di marketing, e grazie a un manipolo di imperiosi cosacchi, questo termine definisce il più diffuso format di locale con cucina tradizionale e semplice (non necessariamente cattiva) servita in fretta e senza pompa. Tanta premessa è dovuta esclusivamente alla nostra passione per le parole e per gli aneddoti che vi stanno dietro; in realtà vi volevamo parlare di un bistrot molto contemporaneo, quello della Triennale Bovisa, a Milano, versione attuale e intellettualizzata dell’idea originaria. Intellettualizzata perché ormai non si fa più nulla se dietro non c’è come minimo una filosofia (un “trend concettuale”), un rinomato studio di progettisti e designer, uno chef che non sia un cuoco (perché sarebbe come chiamare sarto uno stilista: si offende). Del resto capita anche con gli scrittori: alcuni non amano sentirsi definire narratore o romanziere, tipologie che presupporrebbero meno arte e più tecnica. Ma torniamo alla Bovisa, quartiere ex-periferico che fino a pochi anni fa sembrava concepito per far sfogare Sironi e Testori, e ora invece ospita una delle sedi del Politecnico, ci arriva il passante ferroviario, c’è la sede di Telelombardia, molte case in costruzione e alcuni edifici vecchi e popolari piacevolmente spersi nel mare di novità; e, benché ci si trovi ancora parcheggio, ha tutta l’aria d’essere uno di quei luoghi dove l’acquisto di una casa può diventare un buon investimento. In una sorta di hangar c’è anche il nuovo spazio espositivo della Triennale, che ospita concerti, rassegne cinematografiche e mostre di arte contemporanea visitabili fino a mezzanotte, oltre all’inevitabile bookshop (l’inevitabile è riferito alla parola inglese al posto dell’inspiegabilmente dismesso “libreria”) e, appunto, al bistrot (dove si offre food, ché ormai cibo non lo dice più nessuno). Al momento, lo spazio della Triennale ospita Timer, mostra di opere realizzate dopo l’11 settembre 2001 all’insegna di quella che potremmo definire “estetica del catetere”: fistole, tubicini che escono da corpi dipinti, sezioni di cranio, installazioni di bulbi oculari con tanto di sbatter di ciglia. L’adiacente bistrot gode di un’atmosfera un po’ danese, tutta pulizia, design, vetrate con vista su cieli nordici e sull’edificio del circolo giovanil-culturale BaseB, dipinto a strisce come il gasometro. Per la mostra, al momento, non mi pare che ci siano code come agli Uffizi, dunque dai tavoli si vede una sparuta popolazione di esseri umani, perlopiù pompieri che passano la giornata accasciati sulle panchine, coi loro vestiti da ape, a rigoni gialli. Belli i bagni, a mosaico blu, affascinante e competente il cameriere dal portamento watusso (aveva un’enoteca ad Abbiategrasso), magnetiche le tovagliette di maglina d’acciaio che stimolano la maniacalità tattile, e si continua a comporle, scomporle, lisciarle. La scelta dei vini, anche al bicchiere, è all’insegna della qualità delle etichette, e altrettanto si può dire per il menù, curato dal celebre chef Moreno Cedroni del La Madonnina del Pescatore di Senigallia. Alcuni piatti, come i primi, per ora non sono nel menu e cambiano ogni giorno; mentre quelli in lista sono rimarchevoli per la scelta delle materie prime. Le acciughe del mar di Cantabria, per esempio, e il patanegra della Longino & Cardenal, azienda specializzata nella distribuzione di squisitezze provenienti da tutto il mondo. Ottimi il tonno bianco al rosmarino con patate bollite e la polentina con trippa di coda di rospo; addirittura sublime mousse al cioccolato con olio, sale e pane. I prezzi sono contenuti: dai 6 ai 13 euro per piatto.