Quante città possono vantarsi d’avere una mappa che ne ricordi il simbolo gastronomico? Torino non è a forma di gianduia, Roma non evoca carciofi, né Bari un piatto d’orecchiette. Milano, invece, è indubbiamente a forma di cotoletta alla milanese, versione “orecchio d’elefante”. Nei deprecati anni Ottanta, la città definita “da bere” lanciò una serie di mode gastronomiche: rucola e smorti gamberetti come se piovesse, il becchime altrimenti detto mais persino sulla pizza, il trionfo del salmone allevato in batteria che ci portò a un passo da “salmone pazzo”. Ma ci fu anche un’innovazione geniale, l’unica che ancora oggi permanga nei sogni degli affamati e nei menu dei ristoranti: l’orecchio d’elefante – declinazione, ingigantita da una spasmodica battitura, della tradizionale costoletta di vitello impanata e fritta in padella, con olio e burro. In qualsiasi variante la si preferisca, quella chic a cubetti eseguita da Gualtiero Marchesi e da Carlo Cracco, quella classica di costoletta alta e con osso, oppure quella ye-ye appiattita e sfranta come la pianta di Milano, la cotoletta rimane uno dei piatti cardine della nostra alimentazione. I bambini la mangerebbero due volte al giorno, è buonissima anche fredda e fra due fette di pane, è universale e la capiscono anche i cinesi. Per questo mi sono entusiasmata quando ho scoperto che Marcello Michi, un tosco-milanese con tanti ristoranti sulle spalle (è della famiglia di Ilia, del Girarrosto, di Bice…), s’è inventato un locale dedicato alle cotolette, idea che spera di replicare in franchising. Una formula semplice ed economica, come quella delle pizzerie, dove trovi qualche piatto accessorio (pasta, insalate, dolci) e una grande scelta di milanesi: dalla “Classica, semplice e croccante”, all’inevitabile “Primavera, pomodorini e rucola”, a quelle che ci fanno inorridire ma che pare siano le più richieste, come la “Rustica, fontina, salsiccia e cipolle” e la “Bacon, uovo al tegamino e pancetta affumicata”. I prezzi variano a seconda che la cotoletta sia di vitello (11 €), di pollo (10 €), di agnello (12 €), di maiale (6 €), e includono un contorno di patate fritte o insalata. Io ho provato, con soddisfazione, la “Classica” di vitello – ben battuta e grande quasi quanto una pizza -, con dignitosissimi fiori di zucca fritti in pastella e un quartino di vino della casa, spendendo 15 euro.