“L’alta civiltà esclude da sé la vecchiezza, non dà diritto di cittadinanza se non alle giovani e alle vecchie truccate da giovani. Più la donna scende i gradini della scala sociale – più la donna si avvicina al Meridione e all’Oriente, più rapidamente e prematuramente essa perde la giovinezza”. Sembra una dichiarazione di qualche chirurgo plastico leghista, invece è tratta da un libro tenero e ironico, pieno di osservazioni di straordinaria eleganza, lessicale e immaginativa. L’autore è Alberto Savinio, il titolo è Ascolto il tuo cuore, città (Adelphi, euro 20,66), la città è Milano. Vagando tra le rovine dei palazzi demoliti dai bombardamenti alleati, Savinio nota “una signora avanti con gli anni ma vestita e truccata con alta sapienza” che traffica tra i calcinacci, “senza dolorismo, senza tragicismo, quasi adempisse a una regolare faccenda di casa: con stile”. Chissà cosa penserebbe oggi questo straordinario pittore-scrittore appostandosi davanti all’Osteria del Corso, in corso Garibaldi a Milano. Mazzi di ragazze alte, sottilissime, loliteggianti, perlopiù incollate a un telefonino da cui pende un pupazzetto e intente a esclamare nell’etere formule tipo “Ciao Pii, sono la Evelin!”, “Ciao Amooore!”, “Vany, corri che c’è Bobo!” (il Bobo in questione essendo il calciatore Vieri): giovinezza, tanta; stile, non si sa. L’Osteria è un curioso locale che si è trovato a riassumere in sé il vecchio e il nuovo della città, in una miscela inconsueta. Immaginatevi un bar trattoria col bancone che fa da sostegno ai gomiti di infaticabili chiacchieratori di quartiere, la vetrina dei panini e dei cibi cotti, una numerosa famiglia d’origine salernitana (tra fratelli, mamma, zio e cognate, sono in nove) impiegata in forza tra cucina e tavoli; e poi squisite mozzarelle di bufala, normali o affumicate; gnocchi alla sorrentina; insalata di riso (arborio, per fortuna, non il terribile gommoso pilaf); paccheri e tagliatelle fatte in casa, al ragù o pomodoro; pasta e ceci; le ormai scomparende scaloppine al limone, che fa tanto piacere ritrovare; e poi ottime polpette, cotolette, fesa al forno, parmigiana di melanzane, patate arrosto, molte verdure vere (quindi di stagione, fresche, e, quando lessate, non sfatte ma mantenute croccanti)… insomma: una cucina di casa, servita su tavoli in formica, con la tovaglietta di carta, senza pretese ma anche senza sciatteria. C’è poi il contesto, detto anche coté, che è la parte divertente del pasto. In fondo al locale ci sono i tavoli delle autorità. In questo caso si parla di Eros Ramazzotti, Bobo Vieri, Costantino e relativi famigli o procuratori o sfruttatori. Attorno a questi maschi ipertatuati e in canotta (se non fossero famosi, potrebbe sembrare una scena da angiporto di Anversa), che seduti in conciliabolo ricordano un po’ i “bravi ragazzi” di Scorsese, ronza una gran quantità di veline vere o aspiranti, abbigliate in minigonna inguinale o short, stivali flosci su pelle nuda, berretto, occhialoni da sole a specchio anche al buio, orecchini giganteschi, maglietta con immancabile spallina di reggiseno in evidenza. Di solito masticano gomma americana e stanno poco sedute, vagando di tavolo in tavolo, agitandosi, ridendo, parlando moltissimo. Oltre ai maschi famosi ci sono i cacciatori di modelle-che-cacciano-i-famosi: giovani vestiti da executive, abiti gessati e camicie col collettone che sfiora il lobo, immancabili cifre, vari braccialetti di stoffa. Non fanno altro che toccarsi, soprattutto gli uomini mentre parlano fra loro, proprio come i membri delle gang. Uno pseudo-executive si sbottona la camicia e scosta la cravatta per mostrare il tatuaggio a una ragazza che sventola una pagina stappata di Panorama (rubrica Periscopio, con le foto dei vip). Vieri non perde tempo e, appena seduto, tira su la gamba dei pantaloni e si poggia la borsa del ghiaccio sul ginocchio. Ramazzotti si alza e va a firmare autografi su un blocchetto di post-it a un tavolo di ragazzine estatiche. Altri personaggi immancabili di questo teatrino sono i giornalisti della Gazzetta dello Sport, a caccia di calciatori; e quelli dei giornali di gossip, a caccia di scoop amorosi. Poi ci sono i vecchi abitanti del quartiere, quelli in stile “sindacalista”: appoggiati al bancone, con barba, occhiali, un po’ di pancia, jeans demodé (cioè normali, senza tagli né strappi), l’aspetto compreso e sofferto, immersi nella lettura di “Liberazione”; e qualche donna di mezz’eta, distinta e ben mantenuta, aria da professoressa della scuola adiacente, con la borsa zeppa di libri e compiti in classe; altre sembrano invece venditrici di oggetti d’artigianato: ricci rossi che non usano più, gonnellone, busta della “libreria Utopia” appesa al braccio. Un caravanserraglio chiassoso, vivacissimo, originale.
Un ultimo dettaglio: il menu è compilato con pennarello su un foglietto di blocco con marchio Armani Jeans. Più Milano di così!
Un pasto completo e abbondante, con un paio di bicchieri di vino e un caffè, costa non più di 25 euro. Il locale è sempre pieno, si consiglia di non arrivare negli orari di punta.